1920/1960

BLUES

I’ M BLUE(s) DA BA DEE DA BA DI

Procediamo con ordine. Fin dal XVI secolo si usava l’espressioneto have the blue devil  per alludere ad uno stato mentale malinconico, lo stesso che emerge dai testi blues. Non si tratta di quella malinconia che provi quando porti a far demolire l’auto con la quale hai preso la patente. La malinconia espressa nel blues affonda le radici nell’animo umano di coloro che vissero l’oppressione della schiavitù, abusati, soggiogati, sradicati dalla propria terra e dalle proprie famiglie.

Essere liberi voleva dire continuare a lavorare per gli ex padroni e a subire discriminazioni e segregazione. Il blues nasce dal dolore di un popolo che cerca di riappropriarsi di sonorità e ritmi della propria terra. Sono quei suoni tramandati di generazione in generazione giunti fino al XIX secolo, creando le premesse stilistiche del blues. 

Caratteristica fondamentale ed imprescindibile di questo genere è l’intervallo di quinta diminuita, il tritono, il Diabolus in Musica. Ecco, ci risiamo. Spunta di nuovo quello lì.

Il tritono fu definito “Diabolus in musica” nel Medioevo (tra un rogo di eretici ed un altro di streghe), perchè era difficile da intonare nei canti corali ecclesiastici e risultava dissonante, dunque non molto gradevole all’ascolto. Un po’ come la forchetta raschiata sul piatto.

Bah, questi medievali non capivano un ciufolo. Siccome l’intervallo di quinta diminuita divide l’ottava in due parti uguali (e non in tre come vorrebbe la Trinità Divina), potrebbe anche esser stato considerato un suono impuro.

Nel Medioevo fu vietata la sua esecuzione in quanto considerato l’ “Accordo del Male” e iniziò a farsi strada, nell’inconscio collettivo, l’idea che potesse essere realmente qualcosa di malvagio. Il monaco cristiano che ideò la moderna notazione musicale, tale Guido d’Arezzo, pare abbia considerato l’intervallo di quinta diminuita una vera e propria eresia, come se fosse un mezzo per evocare Satana. Sarà con l’arrivo dell’Illuminismo ed in seguito del Romanticismo che verrà recuperato il tritono (assieme a motivi cari al satanismo).

Lo sentiremo bello pompato ne “Il trillo del diavolo” di Giuseppe Tartini, un brano difficilissimo per violino solista ed in moltissime altre composizioni (“Danse Macabre” di Camille Saint-Saëns, “La suggestione diabolica” di Prokofiev,ecc…).

PS: Quando sentite le sirene della polizia e dei vigili del fuoco, sappiate che le vostre orecchie verranno possedute da sequenze di tritoni!


IL BLUES DELLE ACQUE FANGOSE

-Muddy Waters-

Un sorridente Muddy Waters che imbraccia la chitarra

A Clarksdale, città nel cuore del Delta del Mississippi, si sudava, si cantava per ingannare il tempo e si raccoglieva cotone per 50cents al giorno. Qui, nel 1913 nasce il piccolo McKinley. Rimasto orfano all’età di tre anni, viene affidato alla nonna che si diverte ad osservarlo dalla finestra mentre si rotola nel fango.

Salutate Mr Muddy Waters (letteralmente “acque fangose”): colui che fece emergere il blues dalle acque del Mississippi. A nove anni inizia a suonare l’armonica e a battere dei legni sui bidoni di cherosene per creare suoni.

Comincia ad ascoltare i Race Records di Robert Johnson e decide di imbracciare la chitarra, per poi non staccarsene più. Nel 1943 va a Chicago: di giorno fa il facchino e lo scaricatore di camion alle cartiere Western Mills, mentre di notte fa vibrare le sei corde nei locali del South Side, posti talmente rumorosi da rendere la svolta elettrica quasi inevitabile. E poi tutti muti ad ascoltarlo.

Ecco, ora prendete le cuffie ed iniziate ad ascoltare “Rollin’ Stone”. Lo sentite il suono caldo e potente della chitarra? E la voce che viene dalla pancia? Timbro che fa vibrare la gabbia toracica ed intonazione perfetta. Muddy Waters che viene dalla campagna, che porta con sè il fango e la terra, che sa di natura e concretezza.  

Brian Jones (chitarrista morto a 27 anni e facente parte del “Club 27”) ascolta a ripetizione “Rollin’ Stone” e la trasforma nel nome del suo gruppo di teenagers sbarbatelli, destinati a diventare dei veri pezzi grossi.

Il testo di “Rollin’ Stone”

Well, I wish I was a catfish,

Avrei voluto essere un pescegatto

swimmin’ in a oh, deep, blue sea

Per nuotare nel profondo mare blu

I would have all you good lookin’ women,

Avrei avuto tutte voi belle donne

fishin’, fishin’ after me

pescando, pescando dopo di me

Sure ‘nough, a-after me (…)

I went to my baby’s house,

Sono andato a casa della mia piccola

and I sit down oh, on her steps.

e mi sono seduto sui suoi scalini

She said, “Now, come on in now, Muddy

Lei disse:” Entra adesso, Muddy

You know, my husband just now left

Lo sai, mio marito è appena uscito”

Sure ‘nough, he just now left x3

Well, my mother told my father,

Mia madre disse a mio padre

just before hmmm, I was born,

appena prima che io nascessi

“I got a boy child’s comin’,

“Sto per avere un bambino

He’s gonna be, he’s gonna be a rollin stone,

Lui diventerà, diventerà un vagabondo

Sure ‘nough, he’s a rollin stone (…)

Certo, sarà un vagabondo”

Well, I feel, yes I feel,

Bene, mi sento, si mi sento

feel that a low down time ain’t long

sento che tutto questo tempo brutto non durerà

I’m gonna catch the first thing smokin,

Sto per prendere la prima cosa che capita

back, back down the road I’m goin

per tornare indietro sulla strada

Back down the road I’m goin

Back down the road I’m goin

Sure ‘nough back, sure ‘nough back 

Muddy vuole essere un pescegatto per sguazzare liberamente nel mare. Questa agognata libertà finisce non appena lui torna, nelle vesti di amante, a casa della sua piccola. A sorpresa rimane sugli scalini, forse per via di quel flashback immaginario in cui sua madre lo definisce un vagabondo ancora prima che nascesse. Allora sapete che fa? Si identifica con le parole della mamma, entra in casa, prende le prime cose che gli capitano sotto mano e se ne va.

LUPO ULULA, LUPO ULULI’

-Howlin’ Wolf-

L’ululato del blues

Willie Dixon, compositore e produttore della casa discografica Chess Records ,nata a Chicago nel 1947,è Il bassista sia di Muddy Waters, sia di un altro gigante(anche in senso metaforico) del Blues di Chicago.

Si sta parlando di Chester Arthur Burnett, per gli amici Howlin’ Wolf: un “Lupo Ululante” che passa inosservato con i suoi 198 cm di statura e 136 kg di peso. Adotta questo nome d’arte dalle storie di lupi che gli raccontava il nonno, un nome che sembra avere un velo di oscurità e mistero.

Voce potente, a tratti gridata, poi graffiante come gli artigli di un lupo che squarciano il cielo. Wolf senza eccessi, senza storie di  droga o alcol. Leader carismatico che paga ai propri musicisti l’assicurazione per garantire loro la previdenza sociale. Al tempo stesso pretende che loro, rigorosamente vestiti bene,  non fumino e non bevano sul palco.

Arthur  quando entra in scena diventa una belva: ad esempio prende una Coca-Cola, la agita per bene, la infila nei pantaloni, tira giù la cerniera e la stappa, inondando le prime file.  Forse ha preso spunto da Robert Johnson che, in “Traveling Riverside Blues“, dice:

Now you can squeeze my lemon till the juice run down my
(Till the juice run down my leg, baby, you know what I’m talkin’ ’bout)

“Ora puoi spremere il mio limone finchè il succo non mi cola giù

(finchè il succo non mi cola giù dalla gamba, baby, sai di cosa sto parlando”

Tranquilli ragazzi, senza malizia.

Quando il concerto finisce, Howlin’ Wolf rientra nella tana e smette di ululare musica alla Luna.  

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