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MOD

Devo dire la verità: ho sempre ascoltato una fraccata di musica, non identificandomi mai con una sottocultura giovanile. Non ero la punkabbestia, nè la emo, la tamarra o la metallara.

In adolescenza, però, ho sentito tanto l’influenza del Modernismo: a 16 anni andavo alle feste serie Mod, quando al locale Zerodieci (come il prefisso telefonico zeneize), nei vicoli, si mettevano i 45″ e ci si vestiva bene, molto bene. La cura nei dettagli e nei miei foulard sempre in tinta. La frangetta cortissima e il vestiario curato nei particolari sotto al parka, che non lasciava intravedere nulla. Da lì a dire che sono una Modette ce ne passa, eh.

Ho il cuore mezzo rocker e mezzo mod. Ho la carrozzeria Harleysta e il telaio Vespista, profondamente e meccanicamente Vespista.

Se avessi preso parte alla battaglia di Brighton, probabilmente mi sarei tirata delle sberle in faccia, da sola, in piena crisi identitaria. Sono schizofrenica anche in questo. Ogni tanto mi sento rocker, ogni tanto Modette. Dipende da come mi sveglio. Di sicuro non sono una purista di nessuna delle due culture, ma le amo profondamente entrambe, pur essendo l’una l’antitesi dell’altra. Però cavolo, lo stile Mod è di rara bellezza.

Basta guardare lui, The Modfather, figura centrale del movimento mod revival, chitarrista e cantante dei “The Jam” e poi dei “The Style Council”. Siore e siori, Sua Manzosità Mr Paul Weller. Qui a lato, un live godereccio ad Hyde Park.

I modernist negli anni Sessanta sono il simbolo della modernità consumistica, ma con il passare del tempo diventano strumenti per soddisfare le esigenze dell’industria del consumo. Gli adolescenti mods lavorano perlopiù nel settore terziario, sviluppato nelle aree urbane londinesi.

I simboli e i segni tangibili che distinguono i giovani mods dagli altri, sono i cerchi concentrici della Royal Air Force (cuciti sui parka, indossati per proteggere i vestiti durante i viaggi a bordo di una Lambretta o di una Vespa), i capelli french style e gli abiti di sartoria italiana.

Mentre i teddy boys (si, loro non li sopporto) sono legati allo spazio, i mods sono strettamente collegati al flusso temporale, all’hic et nunc dilatato ed esteso, anche grazie all’uso ed abuso di amfetamine. Insomma, si sfrutta al meglio il tempo libero a disposizione, senza la percezione di stanchezza e fatica e per allontanare sempre più l’ingresso nel mondo adulto.

Per quanto concerne la dimensione dello spazio, i mods sono soliti viaggiare, rigorosamente in gruppo, nel weekend a bordo delle loro Vespe e Lambrette comprate con i loro guadagni, per dimostrare ancora una volta la loro autonomia.

Il mod è maniaco dei dettagli: lo scooter, prima simbolo di rispettabilità, diventa aggressivo addobbato con specchietti, luci ed accessori di ogni tipo.

Questi adolescenti si mimetizzano nella società dei consumi, ma al tempo stesso vengono visti come minaccia per l’estrema cura nell’abbigliamento in quanto estremizzano il canone estetico nutrito di elementi rispettabili.

I mod, contrariamente a quei destrorsi teddy boys, si avvicinano alla realtà nera, rimarcando la loro esigenza di opporsi ai valori e alle norme dominanti. Musicalmente parlando, infatti, si avvicinano al rythm’n’blues, allo ska ed al soul della Motown che sono i generi nati dalla cultura nera.

I gruppi simboli del movimento mods sono i Kinks, gli Small Faces e soprattutto gli Who, i quali raccontano empaticamente il mondo mod in quasi ogni canzone, fino al culmine raggiunto con l’opera Quadrophenia che propone un ritratto fedele di un mod nel suo spaccato quotidiano. Capolavoro. Con il cameo di un giovanissimo, platinatissimo e fighissimo Sting.

L’adolescente mod, ritornando da scuola si perde in un mondo sotterraneo, fatto di negozi di dischi, cantine e boutique. Impiega il suo tempo libero curando i dettagli: comprare dischi, far restringere o lavare i pantaloni di sartoria, lavare asciugare ed acconciare i capelli “alla francese” e lucidare le scocche di Vespe e Lambrette fino ai crampi muscolari. Il mod necessita di apparire autonomo dai genitori e al tempo stesso ha bisogno di continuare ad identificarsi con essi.

Comunque la vera vecchia guardia Mod italiana è in Piazza Statuto a Torino, luogo di nascita di uno dei gruppi ska italiani più conosciuti. Gli Statuto. La loro è una “Bella storia” (come il loro ultimo album celebrativo del quarantennale di attività) che dura dal 1983. Ancora ricordo quel Capodanno ad Arezzo nel lontano 2008, iniziato in Piazza della Libertà con Giuliano Palma & The Bluebeaters e conclusosi in un locale con festa Mod e fumanti 45″ sul piatto dei giradischi. C’erano anche loro, gli Statuto, a ballare con noi. Se non erro Oskar, il cantante degli Statuto, era arrivato con il suo Maggiolone identico a Herbie. Uno dei Capodanni più belli di sempre, tra balli sfrenati ed un sacco di sudore.

Gli Statuto agli albori cercano di far cassa, raccogliendo i proventi con la vendita di cassette-compilation di brani rari Northern Soul, o facendo pagare a poche lire i loro concerti. Con quelle palanche si autoproducono il disco, con la copertina rigorosamente incollata con il Vinavil, una ad una. Arriva il contratto con la Toast Records e poi con la Emi.

Quando Oskar decide di non suonare più il basso, ma di cantare e basta, arriva lui, Xico… che molti di voi conoscono come Ezio Bosso. Registra il primo album con loro e poi va a studiare musica fuori dall’Italia. E’ transitato tra le fila mod de Gli Statuto anche Davide Rossi, tastierista e poi violinista in diversi brani dei Coldplay, arrangiatore di brani dei Depeche Mode, Röyksopp, Duran Duran, Alicia Keys, Dido, Moby, ecc…

Comunque, tornando agli adorati Statuto, dopo aver firmato con la Emi, arrivano a Sanremo con l’ironico e indimenticato “Abbiamo vinto il Festival di Sanremo“. Impossibile non gioire e sgambettar. Grandi Statuto, mod di qualità ad alto tasso di eleganza.

Rabbia e stile, sempre.

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