1920/1960

I GENITORI DEL ROCK’N’ROLL

MAMMA ROSETTA

Fondamentale fu il contributo di Sister Rosetta Tharpe, star del gospel che si guadagna il titolo di “Madrina del Rock’n’Roll” perchè spacca di brutto.

Figlia di due raccoglitori di cotone separati, inizia ad andare in giro con la madre evangelista per la Church of God in Christ.

Sister Rosetta, che all’epoca ha 4 anni, canta e suona la chitarra accompagnando la madre, che strimpella il mandolino, mentre predica nel Sud degli USA. Vanno in giro per circa 20 anni. Si stabiliscono a Chicago e nel 1934 Rosetta sposa, dietro pressioni materne, quel gran simpaticone del reverendo Thomas Thorpe (cognome diverso per un errore ortografico all’anagrafe), definito da Rosetta un “tiranno”. Nel 1938 giustamente lo manda a quel paese e parte con la madre: destinazione New York City, dove inizia a suonare nei locali notturni.

Le sue canzoni veloci e ritmate e la sua voce grintosa attirano i giovani, ma allontanano i fedeli. Questi ultimi non sopportano che Rosetta parli di Gesù in quei locali da poco di buono. Rosetta se ne sbatte e continua a percorrere la sua strada, diventando una rockstar. Quando imbraccia la sua Diavoletto color panna non ce n’è per nessuno!

E’ una donna che ha dovuto farsi strada in un ambiente maschilista.

Durante un concerto le viene detto: «Suoni proprio come un uomo!». Rosetta risponde: «Nessun uomo può suonare come me. Suono meglio di un uomo!». Rosy numerA unA! Tutti mutiiii!

Nel 1964 il sound di Rosetta Tharpe arriva nel vecchio continente ed inizia un tour europeo assieme a Muddy Waters. Ciao proprio. Durante la prima tappa, all’”American Folk Blues Festival“, la pioggia ha la meglio e viene giù a catinelle, ma Rosetta continua a cantare, a parlare di fede. Sembra una predicatrice nata. Il pubblico non riesce a distogliere lo sguardo da quella Big Mama che, tra un assolo ed un giro di blues, ti lascia senza fiato, mettendoti in un frullatore di emozioni. Tra il pubblico sconvolto positivamente, c’erano Keith Richards ed Eric Clapton. Felici come due bimbi.
Presto i giovani ribelli americani preferiscono aderire al “sex, drugs & rock’n’roll”: le canzoni che parlano di amore e di Gesù diventano robe obsolete da chierichetti.
Rosetta finisce nel dimenticatoio ed entra tardivamente nella Rock’n’Roll Hall of Fame nel 2018. Ricordate, però, che senza di lei non avremmo avuto Elvis, Chuck Berry e Little Richard. Se questi sono i padri del Rock’n’Roll, lei ne è senza ombra di dubbio la madre.

PAPÀ CHUCK


Come già detto il Rock’n’Roll è frutto dei lombi di Sister Rosetta e di Chuck Berry. Chuck, nato nel Missouri, quarto di sei figli. Il papà era un imprenditore e diacono della chiesa battista. Appartiene al ceto medio e questo gli permette di studiare.

Oltre allo studio, Chuck si diletta a delinquere: rapina a mano armata in tre negozi, furto d’auto. Tutto all’insegna di un’adolescenza tranquilla e morigerata. Viene portato in riformatorio e nel frattempo forma un quartetto vocale. Lo immagino in mensa con gli altri ragazzi a far faville sul tavolo: canti e balli. Tipo l’ultima scena dei Blues Brothers (qui sotto troverete un frame). Una volta uscito di prigione mette la testa a posto: si sposa, ha una figlia e lavora (operaio, portinaio ed estetista).

In quegli anni coltiva la sua passione principale, la musica. Si esibisce con diversi gruppi blues nei locali di St.Louis. La sua voglia di curiosità lo porta a sperimentarsi in vari generi, tra i quali il country (la musica dei bianchi). Il pubblico nero non glielo perdona, gli ride in faccia e lo etichetta come “hillbilly” (termine dispregiativo con cui si indicano le persone che vivono nelle zone rurali, considerate arretrate). Il pubblico ben presto si ricrede ed inizia a chiedergli di eseguire brani country, perchè erano più ballabili e la gente aveva voglia di sgambettare.

Il suo amico pezzo grosso Muddy Waters, lo invoglia ad andare a Chicago per presentarsi a Leonard Chess, fondatore dell’etichetta discografica “Chess Records”. Si vola. Dopo poco, nel 1956, raggiunge il successo con “Roll Over Beethoven“. Pare che questo pezzo sia stato scritto per lamentarsi bonariamente della sorella Lucy, che da piccola occupava sempre il pianoforte eseguendo le sonate di Beethoven, senza lasciare il campo a Chuck, che scalpitava per pigiare i tasti bianchi e neri a suon di RnR. Leggete il testo e capite la sua volontà di scalzare Tchaikovsky&Co a favore del Rock’n’Roll.

Well gonna write a little letter
(Devo scrivere una piccola lettera)
Gonna mail it to my local D.J.
(Devo inviarla al mio D.J. locale)
It’s a rockin’ little record
(È un semplice disco a ritmo di rock)
I want my jockey to play
(Voglio che lui lo faccia suonare)
Roll over Beethoven
(Scordati Beethoven)
I gotta hear it again today
(Oggi voglio sentirlo di nuovo)
You know my temperature’s risin’
(Lo sai, la mia temperatura si alza)
And the jukebox’s blowin’ a fuse
(E il juke-box brucia un fusibile)
My hearts beatin’ rhythm
(Il mio cuore tiene il ritmo)
And my soul keeps singing the blues
(E la mia anima continua a cantare il blues)
Roll over Beethoven
(Scordati Beethoven)
And tell Tchaikovsky the news
(E dai la notizia a Tchaikovsky)


La canzone continua, Chuck dice di aver bisogno di una dose di rythm & blues, come se la sua fosse una dipendenza da musica stupefacente.
Daddy Berry incide altri brani che raggiungono il successo, fino ad arrivare a “Johnny B. Goode“.
Adoro questa canzone, perchè parla di rivalsa, di tenacia, di amore per la musica, di talento e soprattutto di una madre pronta a sostenere ed a incoraggiare il proprio figlio. Johnny è un ragazzo della Louisiana, è povero e vive in una capanna fatta di terra e legno. E’ analfabeta perchè non ha avuto la possibilità di ricevere un’istruzione adeguata. Johnny ha un dono: quello di saper suonare la chitarra con estrema facilità:

“Ma sapeva suonare la chitarra proprio come si suona un campanello” (“But he could play the guitar just like a ringing a bell”).

Porta sempre con sè il suo strumento, messo in un sacco di iuta. Suona in stazione e le persone rimangono sbigottite nel sentirlo suonare. La mamma lo incoraggia e gli dice:

“Un giorno sarai un uomo e sarai il leader di una rinomata band. Molte persone faranno molti chilometri per sentirti suonare la tua musica, quando il sole tramonta. E forse un giorno il tuo nome sarà su un’insegna luminosa che annuncia” (“Someday you will be a man and you will be the leader of a big ol’ band. Many people comin’ from miles around to hear you play your music when the sun goes down. Maybe someday your name’ll be in lights sayin’ Johnny B. Goode tonight!”).

Il ritornello è costituito dalla ripetizione della frase: “Vai Johnny vai! Vai!”.

Giunti a questo punto immagino la mamma di Johnny che continua a dire questa frase, quasi come fosse un mantra, per stimolare il figlio nel perseguire gli obbiettivi.

Con il passare dei secondi, il ritornello viene cantato da sempre più voci. Un incitamento corale: è come se stessero aumentando i suoi sostenitori, i suoi seguaci, i suoi fans. Mi piace questo brano perchè mi sa di purezza, di genuinità.

Parla di una condizione sociale di disagio e di una mamma che al posto di dire al figlio: “Vai a lavorare, siamo poveri; non fare l’artista: la musica non ti darà il pane!” preferisce aiutarlo nel raggiungere la sua soddisfazione personale.

Così facendo il figlio soffrirà, prenderà delle facciate, gli si chiuderanno porte, non verrà capito, sarà frustrato, ma crede che ne varrà la pena, perchè suo figlio sarà felice.

Sempre meno genitori sostengono i vari Johnny sparsi per il mondo, perchè preferiscono che si affermino nel mondo del lavoro, che abbiano una sicurezza economica (più che lecito). Purtroppo questo pensiero va a cozzare con il mondo dell’Arte che è sempre più povero, che sforna personaggi e meteore commercialmente fruibili lì per lì. La mia non vuole essere una generalizzazione, ovviamente ci sono anche nuovi artisti superlativi, ma nessuno di loro mi ha fatto pensare: “Cacchio, di questi ne sentirò parlare anche tra 60 anni”. Forse perchè alcuni sono proprio bravi, ma non sono “pop”.

Torniamo a noi: se vi dicessi che Angus Young (chitarrista degli AC/DC) e Steve Harris (bassista degli Iron Maiden) non hanno inventato nulla di nuovo quando eseguono i riff camminando in modo strano o cavalcano il basso elettrico? Ebbene si, è stato Chuck Berry ad inventare la Duck Walk, la camminata dell’anatra che si compie saltando su una gamba e muovendo l’altra avanti e indietro. Io ho la coordinazione di una ottantenne alla Sagra della Porchetta che, dopo aver ingollato qualche bicchierino, non riesce a ballare l’AlliGalli , figuriamoci suonare bene la chitarra e fare un passo di quel tipo. Mi sembra un’impresa da idoli. Effettivamente Chuck, Angus e Steve lo sono.


L’anatROCKcolo Chuck nel 1959, viene arrestato per aver fatto sesso con una quattordicenne e condannato, per questo, a cinque anni di reclusione e a pagare una multa da 5.000 dollari (per lui era come se fossero due monete da 5 centesimi). Berry parla di una sentenza ingiusta gonfiata ed influenzata da ideologie razziste. Nel 1961 gli viene ridotta la pena a 3 anni, ma al contempo tutta questa situazione incide sulla vendita dei suoi dischi. Una volta uscito di prigione, la sua carriera si riprende grazie all’interessamento mostrato dai gruppi facenti parte della British Invasion (soprattutto i Beach Boys, i Rolling Stones ed i Beatles).

Il 1° Giugno 1979 suona alla Casa Bianca, su richiesta del Presidente degli USA Jimmy Carter. Poco dopo viene condannato a 1000 ore di servizio civile e a 4 mesi di reclusione per evasione fiscale. Chuck non demorde e negli anni ’80 si spacca di tournèe annuali costituite da 70 a 100 concerti. Durante le varie tappe riproduce prevalentemente le canzoni storiche. Quando compie 60 anni, un suo sconosciutissimo fan che si chiama Keith Richards (chitarrista dei Rolling Stones), gli organizza una festicciuola tra pochi intimi. Si tratta di un contenutissimo concerto durante il quale salgono sul palco a tirargli le orecchie e a duettare con lui, amici come Eric Clapton ed Etta James.

A Chuck viene la splendida idea di comprare un ristorante nel Missouri. Nel 1990 si scopre che questo riservatissimo ristorante era dotato di telecamere nei bagni delle signore.

Chuck, cavolo. Che libidine si prova nel vedere una persona che fa la pipì o che soffre di meteorismo ed alza la gamba mentre ne sgancia una?

Lui ovviamente si dichiara innocente, affermando che le telecamere servissero ad incastrare una dipendente sospettata di rubare nel locale. Si, certo…e le vai a mettere in bagno?

Alla fine della fiera la sua colpevolezza non viene accertata, ma in via privata elargisce un risarcimento colossale, di circa 1 milione di dollari, alle 59 donne che lo avevano denunciato.

Non è finita qua. Quell’innocentone di Berry teneva in casa i nastri delle videoregistrazioni (una ritrae una minorenne) e una sessantina di grammi di marijuana. Si dichiara colpevole di possesso di stupefacenti, ma evita l’accusa di pedofilia. Patteggia la pena. Sta in prigione una manciata di mesi e poi si riparte con i tour mondiali.

Ah, la giustizia è proprio uguale per tutti. E’ stato un grande, è stato l’inventore del Rock’n’Roll, ma a livello di condotta morale…non mi esprimo. Fortunatamente, almeno in questo caso, riesco a scindere talento e persona. e’ risaputo che tanti artisti abbiano avuto problemi con la legge, hanno assunto (oltre ad un sacco di droghe) delle condotte opinabili, ma tipo ad un personaggio come Ozzy Osbourne, che io considero come uno zio, riesco a perdonare tutto.

Raga, leggete “JAILHOUSE ROCK“! Si raccontano 100 storie di artisti finiti dietro alle sbarre.. alcune son davvero esilaranti!

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