1961/1970

ACID ROCK

Dopo LA, la psichedelia fa un pit-stop nella Baia di San Francisco, un’oasi naturale e sociale, un Paradiso spalmato su 29 colli davanti al Pacifico, il Nirvana dei beatnik , della Beat Generation. Lontano dai radicali pacifisti di NY e dai freak disimpegnati di LA, nasce il movimento hippy.

Ah, gli hippies, hanno preso le parti più succulente della cultura indiana: espansione della coscienza ( spaccandosi a bestia di droga), spirito umanitario (sesso a nastro, ghiandate ovunque e con chiunque) e vita di comunità (nelle comuni vigeva autarchia). I rotocalchi americani prendono per i fondelli ‘sti bruciati. Già immagino i commenti della gente dopo aver adocchiato un hippy “Te lo lì, il fenomeno! Tagliati i capelli e la barba, sporcaccione!  Che vai a lavorare,  belina! Succido!”. Ma l’hippy se ne sbatte la ciolla e continua la sua vita.

L’hippy si brucia i neuroni e cerca una degna colonna sonora per i trip mentali in corso d’opera..ed ecco che nascono le JAM, le improvvisazioni per strumenti elettrici e batteria che differiscono dal free-jazz, perchè il rock usa la chitarra elettrica come strumento guida e viene suonato da ragazzi bianchi della classe borghese invece che da ragazzi neri dei ghetti. Per dare l’idea dell’espansione e distorsione di coscienza, l’acid rock fa uso di sintetizzatori, amplificazioni, feedback, fuzztone e strumenti orientali. Nessun ritmo scoppiettante alla rockendrolle, ma suoni modali e note lente. Le droghe assunte ispirano testi ricchi di associazioni tematiche sorprendenti. Effetti fonici stranianti, distorsioni a non finire. Questo è l’acid rock, la musica dei cappelloni. Da una parte abbiamo il peace&love, la spiritualità e un sacco di LSD dei Grateful Dead e dei Jefferson Airplane, mentre dall’altra la nevrosi urbana, l’alienazione industriale e l’eroina dei Velvet Underground. 

L’era di San Francisco inizia il 17 Ottobre 1965 al Long Shoreman’s Hall con il palcoscenico calpestato da: Great Society, Charlatans e Jefferson Airplane. Nella zona, al seguito dei poeti beat, si erano trasferiti diversi scienziati e filosofi degli allucinogeni, in particolare Ken Kesey, lo scrittore di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” che, nel 1959 all’Università di Stanford, si presta come cavia volontaria per uno studio, chiamato MKULTRA, sulle sostanze psicoattive finanziato dalla CIA. LSD, mescalina, psilocibina, cocaina e DMT. Kesey scrive resoconti molto dettagliati su quest’esperienza ed inizia a buttar giù due righe del suo romanzo stupendo.

Il successo ottenuto, gli permette economicamente di trasferirsi a Frisco, dove organizza dei party soprannominati “Acid Test”, durante i quali gli invitati si inondavano la corteccia cerebrale di allucinogeni, in un ambiente psichedelico con pareti fluorescenti, luci stroboscopiche e la musica dei Grateful Dead.

Ken Kesey’s ultra rare 1966 studio recording of the Acid Test with The Grateful Dead. Legendary documentation of the 1965-66 Bay Area Acid Test scene from 14 hours of the actual trip

La stagione d’oro di San Francisco ebbe termine, di fatto, con due eventi del giugno 1967: il festival di Monterey e l’uscita di “Sgt Pepper” dei Beatles. Gli hippie celebrarono il loro funerale per le strade di San Francisco con una pittoresca e malinconica parata/processione il 6 ottobre del 1967. 

Quello degli hippy è stato un movimento senza capetti, senza portavoce e leader, una sorta di  religione senza Messia. 

La “Family Dog Production” organizza spettacoli e concerti autogestiti nei locali underground di San Francisco,  ma il passo tra spettacolo autogestito e orgia di suoni e amore è brevissimo. Questi eventi chiamati “love-in” iniziano ad uscire dai locali e a svolgersi ovunque:dai campus universitari ai giardini pubblici. Si perde a poco a poco la spontaneità, fino ad arrivare all’accettazione e all’assimilazione della controcultura hippy in quel Sistema che prima  la criticava. L’utopia traballa. Escono pure le riviste rock , prima fra tutte Rolling Stone, quindi i racconti epici ingigantiti e tramandati oralmente si sgonfiano: gli eroi mitici dei quali si narrano gesta, ora vengono intervistati e fotografati, hanno un volto. Si perde ancora un po’ di rituale magico dell’underground.

L’ideologia comunitaria hippy viene propagandata durante i festival rock, in special modo tutto ebbe inizio durante la festa di Monterey dove tanto avrei voluto presenziare. Porcacciamiserialadra, guardate il pot-pourri di talenti giganteschi in scaletta. Quarantamila persone troppo impegnate ad avere orgasmi multipli tra incudine, staffa e martello. 

L’utopia diventa ipocrita: le band iniziano ad assumere manager, lasciano le comuni, la musica diventa commerciale. I festival rock continuano ad essere organizzati e si raggiungerà il culmine con le 400.000 persone di Woodstock  nell’ Agosto 1969 e le clamorose speculazioni. Escono Hair e Jesus Christ Superstar. Gli hippy dello star-system (Carl Anderson quanto ti ho amato).

I produttori discografici non capiscono una ceppa e vogliono ridurre le tracce acid-rock, le accorciano e le sfoltiscono di suoni e di effetti, le vogliono più beatlesiane..e distruggono la loro vera essenza. Gli acid-test lasciano dietro di loro delle larve umane circuite da guru manipolatori, la droga perde il suo senso orientaleggiante e viene smazzata da gangster senza scrupoli. 

Il movimento hippy piano piano perde la sua linfa vitale e le sue fondamenta scricchiolano sotto il peso della società. 

Torniamo alla musica: di seguito vi parlerò dei primi sperimentatori di questo genere, natii di San Francisco. Se fossi certa di non annoiarvi rendendo l’articolo lungherrimo, vi parlerei anche degli artisti britannici che personalmente ho ascoltato di più,  tipo Traffic, The Jimi Hendrix Experience, Cream, Soft Machine. Sarà per la prossima. 

JEFFERSON AIRPLANE

Avevo 12 anni e da un bel po’ mi dilettavo nel cantar canzoni, chiudendomi ermeticamente in camera e soffocando la mia voce nel cuscino. Mi divertivo a sperimentare,  a capire come potesse funzionare la mia voce. Un approccio alla Demetrio Stratos dei poverissimi.

Cercavo di capire i miei limiti, ma una volta, forse l’unica nella mia vita, mi concentrai sulla mia potenzialità: accadde tutto mentre approciai per la prima volta al canto di “Somebody to love” dei Jefferson Airplane.  Pensai : “Dai, tutto sommato non faccio così defecar gli stitici”.

Mi decisi a varcare la soglia della camera condivisa con mio fratello, andai in sala, misi il CD nel lettore e chiesi a Ivan di ascoltarmi. Per la prima volta mi sentì emettere note con la voce. Mi disse: “E ora sarà anche l’ora che tu vada a scuola di canto”. Così feci. Quindi diciamo che alla Grace Slick un po’ voglio bene.

I Jefferson Airplane sono stati uno dei gruppi più irrequieti della storia: i musicisti entrano ed escono dal gruppo di continuo (Frusciante spostati), gli stili mutano, i nomi del complesso vengono cambiati come se fossero paia di calzini (Jefferson Airplane, Jefferson Starship, Starship, Jefferson Starship – The Next Generation). Poi mollano il colpo e quietano.

“Jefferson airplane” fa parte del gergo americano ed è un’espressione che definisce un fiammifero tagliato a metà usato per reggere una siga o, più probabilmente, uno spino troppo corto per essere tenuto fra le dita, così da fumarla fino alla fine senza bruciarsi i polpastrelli. Pure qui c’è dell’indecisione e un cambio versione, perché secondo il chitarrista Kaukonen, invece, il nome fu inventato dall’amico Steve Talbot, come parodia ai nomi dei musicisti blues, in riferimento a Blind Lemon Jefferson, il “padre del Texas Blues”. 

Balin è un giovane folksinger in cerca di gloria a Frisco, incontra il chitarrista Kantner e decidono di creare i JA, con lo scopo di andare in giro per la baia in cerca di fortuna. Raccattano, lungo la corsa alla fama,  il chitarrista mezzo svedese Kaukonen, già accompagnatore di una sconosciuta Janis Joplin, poi prendono la cantante Signe Toly Anderson e il bassista Bob Harvey.

Balin ascolta il chitarrista Alexander “Skip” Spence e gli dice “Si, ok sei bravo, vieni a suonare nel gruppo…la batteria”. E così Skip, senza essersi mai seduto dietro alle pelli, comincia a far rullare bacchette. Non vi sto a dire i vari cambi di formazione,  ma quello degno di nota sarà quello della cantante. Quando arriva Grace Slick si vola altissimo come mongolfiere in Cappadocia. Colei che scrisse i due brani cult: “Somebody to love” e “White Rabbit”.

Quest’ultima è una trasposizione in musica di due libri di  Carrol: “Alice nel Paese delle Meraviglie” e “Attraverso lo specchio”, dei quali riprende episodi, trasfigurati in trip. Questo masterpiece narra di Alice che incontra creature strambe e poi diventa gigantesca– espande la mente – per poi restringersi – senza potere. Un’altra “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles. Altro viaggio.

La stessa Slick dice: “’Alice nel paese delle meraviglie’ è palese che sia un racconto allucinogeno. Mangiami! Lei letteralmente diventa grande, troppo grande per la stanza. Bevimi! Il bruco è seduto su un fungo psichedelico che fuma oppio!”. 

Il 19 agosto del 1969 accade una roba potentissima. La tv americana, precisamente  il “Dick Cavett Show”, ospita i Jefferson che eseguono il brano “We Can Be Together”, lato B del singolo “Volunteers” e contenuto nell’omonimo album. Eseguono il tutto senza censura e la Slick, come nella versione studio, ci spara un bel FUCK e, perché  no, pure un MOTHERFUCKER.  Panico paura. Avrei voluto vedere le facce degli addetti ai lavori del programma tv in quei precisi istanti. Il terrore nei loro volti e le loro mutande svirgolettate. 

GRATEFUL DEAD

Più che un gruppo è una comune, visto il numero di componenti più o meno nomadi. Incarnano il vero spirito hippy: offrono gratuitamente alloggio,musica, pasti gratis e cure mediche a chiunque ne avesse bisogno. Non a caso hanno un pubblico super affezionato che li segue ovunque, i cosiddetti Deadhead che, durante i live dei loro beniamini, allestiscono mercatini nei parcheggi antistanti. 

Jerry Garcia, The Grateful Dead 1969

La mente dei Grateful Dead è senza ombra di dubbio Jerry Garcia, un pacioccone morbido, barbuto e occhialuto tutto da abbracciare, senza la smania di comandare. Lui è un essere vivente politraumatizzato, a cominciare dal suo dito amputato con un’ascia per mano del fratello (Jerry infatti si creerà una “modifica” in cuoio lungo ciò che rimase del dito, per poter suonare le 6 corde). É un leader senza saperlo, capace di incanalare nella sua chitarra una polifonia di sonorità differenti, dispiegate su lunghe improvvisazioni ipnotiche.

I concerti dei Grateful, spesso gratuiti (arrivano a esibirsi anche più volte nella stessa giornata), sono dei viaggioni con partenze e senza ritorni. Suoni che si possono toccare, distorsioni che si possono mangiare, intrecci di fraseggi atonali che si possono annusare. Durante i live permettono al pubblico di filmarli e di distribuire gratuitamente le registrazioni.  

“Live Dead”, del 1969 è il disco che ci racconta questo lato della faccenda gratefuldeadiana. Io vado in visibilio con l’amalgama pastosa di giochi percussivi e basso nel brano “The Eleven”:  Garcia ci conduce in un crescendo che porta al Nirvana, all’estasi divina. Corpo e mente si separano e vanno per funghi prataioli. Ci riporta sulla Terra la cover “Turn On Your Love Light” , condita ovviamente da una buona dose di dilatazioni di chitarre, cori e tastiere. 

Che album “Live Dead”! Ma a proposito di Dead.. sapete della maledizione dei tastieristi dei Grateful Dead? 

LA MALEDIZIONE DEI TASTIERISTI

Fuori uno: Ron “Pigpen” McKernan, amante del blues, muore nel ’73 a 27 anni (aridaje, un altro iscritto al Club27). 

Fuori due: Keith Godchaux è entrato nel gruppo prima che Pigpen schiattasse, perché diciamocelo, il buon Pigpen aveva delle condotte opinabili che,infatti, hanno spianato la strada alla signora con la falce. Keith Godchaux e la moglie corista lasciano la band, dopodiché Keith muore in un incidente stradale.

Fuori tre: tra una toccata di testicoli e l’altra, entra a far parte dei Grateful Mr.Brent Mydland che ovviamente  morirà nel 1990 per overdose. Seguiranno Vince Welnik e Bruce Hornsby, ma purtroppo, ora sarà Jerry Garcia a finire sotto ad un cipresso. Senza il loro simbolo, compositore e leader morale, i Grateful Dead si sciolgono e muoiono con lui. 

Il 13 agosto, al Golden Gate Park di San Francisco, una folla di 25.000 persone commemora il suo idolo. Il corpo viene cremato e scoppiano i litigi sul dove disperderne le ceneri: da una parte l’amico Weir e la moglie Deborah che vogliono spargerle nel Gange, ma il fratello, Cliff Garcia, e l’ex moglie di Jerry, vogliono rispettare le volontà di Garcia e disperderle nell’Oceano Pacifico. Nel 1996, vengono assolte entrambe le volontà: una cerimonia svolta lungo il Gange e un’altra su una nave a largo di San Francisco Bay. 

Povero Captain Trip ti hanno fatto fare dei viaggi anche da defunto.

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