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LE SOTTOCULTURE GIOVANILI

Ecco, ci siamo: la mia vena da sociologa mancata, sta spingendo. Sento la necessità di parlare di tutti quei gruppetti di adolescenti vestiti allo stesso modo, che ascoltano la medesima musica, ballano eseguendo le stesse mosse e che condividono valori ed estrazione sociale.

Vi parlerò dei Mods che cavalcano Lambrette e Vespe customizzate, indossano il cagnaro sopra agli abiti eleganti e ballano a ritmo di beat, soul e non solo.

Gli Skinheads con le loro teste rasate e i basettoni, indossano bomber o giacca Harrington, polo o camicie, Jeans stretti (con le bretelle) e boots con la punta di ferro, ci sballano con i vinili della Trojan tra rocksteady, reggae e ska.

Scriverò dei Rude Boys, dei Teddy Boys, dei Rockers e dei Punk. Prima di procedere, però, voglio entrare nei panni di Giulia Precisini, raccontandovi cosa s’intende per sottoculture.

Bando alle ciance:

COSA SONO LE SOTTOCULTURE?

I primi approcci “scientifici” al loro studio, si fanno risalire agli anni Venti, ovvero quando criminologi e sociologi cominciano ad interessarsi alle bande giovanili ed ai gruppi devianti.

La metodologia utilizzata è l’osservazione partecipante, ma ben presto emergono dei vizi di forma: l’assenza di una griglia analitica che permettesse di incasellare i comportamenti, l’estrema importanza attribuita a ciò che è palesemente osservabile, sottovalutando però i significati dei rapporti di classe e di potere.

L’immagine di sottocultura che emerge è quella di un organismo indipendente al di fuori di un più ampio contesto sociale, politico ed economico. In pratica uno Stato nello Stato, con propri valori e regole da seguire, spesso in contrasto con quelle egemoni.

Non esiste una definizione stabile di “sottocultura”, perchè è una realtà troppo dinamica e risente dell’influenza del contesto storico e produttivo in cui si manifesta. È costituita da “materia prima” (i rapporti sociali), è mutevole (modulata dal contesto storico), concreta (mediata dai membri attraverso vari canali, come scuola, famiglia, i media, ecc..) e ideologica.

Durante l’adolescenza i giovani hanno bisogno di identificarsi con qualcosa, con uno stile.

“Ai miei tempi” c’erano i truzzi che ascoltavano la musica disco, si ingellavano i capelli a mo’ di istrici, indossavano jeans Angel & Devil con le chiappe alate pronte a spiccare il volo, i bomber giganteschi tipo scafandro da palombaro dalle tinte fluo, la cintura tarocca di D&G e tante altre belle cosine sobrie. Le tipe avevano sopracciglia inesistenti, ombretti glitterati azzurrini (e tanti altri trucchi cancerogeni regalati con il “Cioè”) e litri di lucidalabbra appiccicoso. I truzzi molleggiavano su scarpe della Nike (Squalo, Shocks, Silver, ecc…).

Sempre ai miei tempi, dall’altra parte, c’erano i tipi da collettivo, quelli che si sbattevano a parlare di diritti e di legge Moratti, di sciopero in quanto arma utile per dire la propria (o per bossare qualche ora di scuola), definiti amorevolmente punkabbestia: prima di entrare a scuola era d’obbligo avere i bulbi oculari bordeaux e le palpebre a fessura. Jeans larghissimi con cavallo basso fino alle ginocchia, piercing, dilatatori ai lobi e almeno un dread fatto all’uncinetto.

Poi c’ero io che ero avulsa da ogni realtà, ma ci sballavo con i jeans della Meltin’ Pot belli larghi e talmente lisi che aprivano l’oblò della lavatrice in autonomia. Magliette tendenzialmente strette con qualche cm di panza de fora, scarpe da ginnastica con la suola talmente bassa che potevo percepire la forma di ogni sassolino e filo d’erba lungo il cammino (la mia scoliosi sentitamente ringrazia queste magiche posture). A parte gli scherzi, qui qualcuno potrebbe risentirsi perchè sto generalizzando e polarizzando a stecca.

Il dato di fatto è che l’adolescente forma la propria personalità in questa tappa dello sviluppo, risentendo dell’influenza dei mass media e dei nuovi modelli e valori culturali.

Vi sblocco un ricordo: i “Pigoldini”

Da fanciulli si ha bisogno di appartenere, di riconoscersi in qualcosa, di condividere e di integrarsi con i pari: queste necessità psicologiche andranno ad influire sulla formazione delle prime grandi sottoculture musicali. Il concetto di sottocultura prevede un legame interdipendente tra l’appartenenza ad una data classe sociale ed il consumo di musica.

Secondo il sociologo Hebdige, influenzato dall’ideologia marxista, la musica e la sottocultura sono mezzi per combattere l’alienazione di classe e la cultura egemone, tramite una guerriglia semiotica in cui il segno e il simbolo diventano le armi di tale conflitto di classe.

Quando però la sottocultura inizia a far parte del quotidiano sociale, o si integra nella società, la quale estrae i segni sottoculturali e li trasforma in oggetti di produzione di massa (il look inizialmente originale diventa moda, mentre la musica funge da feedback per l’industria discografica), oppure può essere rifiutata dalla società, che la etichetta come un qualcosa di deviante.

Le più grandi sottoculture musicali hanno origine in Gran Bretagna e prendono forma in seguito alla Seconda Guerra mondiale: la presenza dei corpi di spedizione statunitense sul suolo inglese, ha portato al tramonto del moralismo vittoriano e al dissenso da parte degli intellettuali dell’epoca, i quali vedono questo elemento come una minaccia nei confronti dell’identità nazionale, della classe media (considerata rappresentante del “common sense”) e del progetto imperiale.

Questa grande trasformazione si palesa nella vittoria, nel Luglio del 1945, del partito laburista che promette maggiore equità e giustizia: da questo momento la classe operaia, le donne, gli immigrati dalle colonie ed i giovani riescono a dar volume alla propria voce, modernizzando la struttura sociale ed economica della Gran Bretagna.

In ambito sociale si ottengono varie conquiste liberali come i nuovi provvedimenti legislativi inerenti il divorzio, l’aborto, i salari, la pena di morte, l’orientamento sessuale e la discriminazione razziale. L’aumento della mobilità sociale, dell’offerta del lavoro e lo sviluppo industriale, consentono ai giovani di passare da una connotazione anagrafica ad una vera e propria categoria sociale che ricoprirà un ruolo centrale nella dinamica dei consumi (vinili e abbigliamento a go-go).

L’industria culturale statunitense dà il via al rock’n’roll e al mito del ribelle, rappresentato cinematograficamente, dagli eroi hollywoodiani come James Dean e Marlon Brando.

In Gran Bretagna, ciò che da la vera svolta è l’uscita nelle sale cinematografiche di “Blackboard jungle” (1955) e “Rock around the clock” (1956), che utilizzano l’iconografia rock’n’roll per raccontare vicende e vissuti di giovani adolescenti. Inutile dire che tutto ciò riscosse un enorme successo e da questo momento il rock’n’roll diventa il veicolo di emancipazione dei giovani dell’epoca, che finalmente vedono e sentono rappresentati i loro umori ed il loro fermento.

I teen-agers da questo momento diventano attivi nella società e dettano le trasformazioni culturali.

La successione degli stili giovanili del dopoguerra consiste in un concatenamento di trasformazioni di un insieme iniziale di elementi (musica, abiti, ballo, gergo) che si manifestano mediante un sistema interno di polarizzazioni (ad esempio: mod vs rocker, teddy boy vs punk).

Tenetevi aggiornati, perchè a breve usciranno gli articoli sulle sottoculture che mi hanno sempre appassionata!

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