HARD BOP
Il Jazz diventa Hard Bop, con il sassofonista John Coltrane ed il trombettista Miles Davis in qualità di massimi esponenti del genere. Verso la metà degli anni Cinquanta, il Bebop aveva ormai fatto il suo, così ci pensano il pianista Horace Silver e il batterista Art Blakey a metterci del loro, iniziando ad elaborare un linguaggio musicale più strutturato e robusto (hard, appunto) rispetto al genere precedente. Con l’arrivo dell’Hard Bop torna il blueseggiante call-and-response (nel mio articolo “BLUES” vi spiego di che si tratta), assieme ad un beat basato sui sei ottavi.
ART BLAKEY
Si avvicina alla musica schiacciando i tasti della tastiera di un pianoforte, dopo le giornate passate al lavoro in qualità di operaio. Si avvicina alla batteria e non la molla più: lo vogliono tutti! Nel 1941 parte in tour nel Sud degli USA, dove la maggior parte degli abitanti bianchi sono notoriamente retrogradi a livello ideologico. Fatto sta che Art si becca una randellata di botte dalla polizia, per il solo fatto di esser nato con un differente colore della pelle: riporta una frattura al cranio e i chirurghi gli piazzano una piastra metallica. Muore sua moglie e lui, esausto, scappa in Africa alla ricerca delle sue origini. Apprende la tecnica dei percussionisti africani, nuove sonorità e polifonie. Dopo aver fatto il pieno di conoscenza, fa i bagagli e torna nella Grande Mela. Fa da propulsore ritmico prima a Thelonious Monk, poi al pianista Horace Silver. Dal 1954 alla morte dirige i Jazz Messengers e gliene siamo grati.
MILES DAVIS
Nasce nell’Illinois del 1926 e a 18 anni è a New York a suonare con giusto due a caso: Dizzy Gillespie e Charlie Parker. A 23 anni io mi rompevo le ovaie sui libri di Psicometria, mentre Miles incide “Birth of Cool” che uscirà come LP nel ’54. Nel frattempo, mentre io a quell’età sfumacchiavo qualche spino ogni tanto, Miles viene tentato dall’eroina. Sembra uscirne e registra album a raffica come una mitraglietta: “Walkin’“, “Cookin’“, “Relaxin’“, “Workin’“, “Steamin’”, “Miles Ahead“, “Porgy and Bess“, “Sketches of Spain”, “Milestones”, fino ad arrivare a quello spettacolo di album di “ Kind of Blue”, del 1959. Quanto amo “So What?”: leggero suono d’introduzione di piano e contrabbasso. Quest’ultimo pronuncia una frase solitaria e il piano risponde timidamente (x4), poi iniziano tutti a soffiare negli strumenti a fiato ed io vado in visibilio.
Nel contempo nasce il Cool Jazz di Lennie Tristano. Ebbene si, è proprio “cool”: freddo, freddissimo, glaciale, polare, atonale, e povero di ritmo. Dal Cool si passa al Free. Il Free Jazz compare negli anni ’60/’70 come forma di critica politica e sociale, nasce dall’esigenza dei neri di distaccarsi dalle necessità consumistiche dei bianchi. Questa nuova corrente è libera, sganciata completamente dagli schemi, dalle idee tradizionali di ritmo, forma, melodia ed armonia. Le premesse e le motivazioni sono super, ma io non riesco ad ascoltarlo e ci ho provato varie volte, ma niente da fare. Si tratta di un’improvvisazione estremizzata e collettiva.
Durante l’ascolto mi sento un po’ come Anna Longhi nel film “Dove vai in vacanza?” con Alberto Sordi: sono seduti in platea durante un concerto di musica contemporanea, iniziano a suonare e lei ad un certo punto si gira verso Sordi e dice :”Ma che stanno ad accordà gli strumenti?”
Anche Miles la pensa come me: critica aspramente il Free Jazz ritenendolo artificioso. Come darti torto, ciccio? Anche lui, come me, non sopporta i critici e i musicisti bigotti e classisti che cercano di contrastare il processo di democratizzazione culturale, soprattutto nei campi della musica classica e del jazz: Miles li stuzzica come solo lui sa fare e cerca di contaminare i generi.
E’ ghiotto di musica e sente profumino di Rock appena sfornato. Conosce Jimi Hendrix, ci parla e si ripromettono di collaborare non appena saranno più tranquilli. Vuole mettere in piedi «la rock band più cazzuta al mondo». Il progetto non spiccherà mai il volo, perchè purtroppo Jimi precipiterà nel baratro tenendo per mano la signora nera con la falce. Chissà che roba avrebbero creato quei due. Miles non si perde d’animo, s’incanta ascoltando Sly and the Family Stone, sperimenta sonorità elettriche andando incontro alla Fusion: nascono “In a Silent Way” e “Bitches Brew” . La dipendenza dagli stupefacenti riemerge, assieme a variegati problemi di salute, scontri con la pula, un grave incidente in auto…insomma, un bel periodino, in seguito al quale decide di chiudersi in casa. Nel 1975 è isolato nella sua tossicodipendenza mista a disturbo depressivo maggiore. Tutti lo vedono già sotto ad un cipresso in un cimitero e invece…Tiè! Dopo 6 anni torna carico a pallettoni, riemerge dalle sue ceneri come un’araba fenice e si catapulta in mondi musicali più disparati: Funk, Pop, Elettronica. Decide anche di cimentarsi nella pittura dimostrando di essere un fenomeno anche in quello. Ma che gli vuoi dire?!
Intanto per inquadrare questo bel personaggino, vi racconto un aneddoto. Nel 1987 Miles Davis accetta mal volentieri l’invito di Cicely Tyson (una delle donne che frequentava) a una cena di gala alla Casa Bianca, all’epoca occupata da Ronald Reagan (pppfff). Era effettivamente strano che uno come lui ci andasse, ma lui vuole andare perchè quella sera Ray Charles avrebbe ricevuto un’onorificenza. Si ritrova seduto vicino ad una signora ingioiellata, la quale gli chiede come mai il Jazz non fosse più popolare in America. Risposta di Davis: «Il jazz è ignorato perché i bianchi vogliono vincere tutto». Innervosita, la donna ha replicato «E lei cosa ha fatto di tanto importante nella sua vita?». Miles: «Beh, ho cambiato la musica cinque o sei volte». Oh tipa, zitta e muta!
Lui non ha cambiato solo il modo di fare Jazz, ma la MUSICA vera e propria! Ha sperimentato e suonato con chiunque (persino Zucchero ha avuto l’onore di essere accompagnato dalla sua tromba). E si noti che in quell’occasione non disse “jazz”, ma “musica” e basta.
JOHN COLTRANE
Uno dei più grandi sassofonisti di sempre. “Trane”, il suo soprannome, ricorda per assonanza la parola “train”: forse perchè il suo fraseggio di sax pulsa impetuosamente come un treno sui binari. A proposito di mezzi di trasporto, la carriera di Coltrane è come un razzo: parte il countdown, i propulsori si accendono e al “left off” parte in ascesa a tutta potenza travolgente e velocità. Il momento di stacco, di partenza veloce corrisponde all’uscita dell’album «Giant Steps» (1959). Da quel momento in poi, dopo una gavetta da musicista di secondo piano in orchestre di R&B e da solista nei gruppi di Thelonious Monk e Miles Davis, la musica diventa per lui un continuo work in progress. “Giant Steps“, «passi da gigante», come gli ampi salti fra tonalità distanti fra loro e come l’evoluzione di Coltrane acerbo che diventa più maturo e sperimentale. Incide l’album dopo aver lasciato il gruppo di Miles Davis e dopo aver registrato, assieme a lui, «Kind Of Blue» (ve ne ho parlato qualche riga sopra). Miles gli intima di smettere di drogarsi, altrimenti lo avrebbe licenziato. John continua a farsi e viene licenziato. Dopo questo fatto, però, fortunatamente si disintossica e smette pure di fumare sigarette e di bere alcool. Un chierichetto, in pratica.
Il Covid19 ha reso questa vita piatta come il mare quando non soffia una bava d’aria. Ci pensa una scoperta magnifica a riportare un po’ di brio: è stato trovata una versione live ed inedita dell’album “A Love supreme”. John Coltrane il 30 settembre 1965 si reca al locale Penthouse di Seattle, gestito dal barista Charlie Puzzo (sicuramente non di origini italiane). Due microfoni sul palco, un registratore Ampex e via. Altro che effettini ed effettucci. Suoni puliti e di ottima qualità. Coltrane in quest’occasione soffia dentro ad un sax tenore, lasciando il soprano nella sua custodia.
John pratica Yoga tutte le sere e ,durante una seduta di meditazione, afferma di aver immaginato TUTTO di quest’album: dai suoni, alle melodie, fino alla copertina ed al libretto interno. Questa cosa mi fa venire in mente John Frusciante, chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, che dice di aver ricevuto consigli dagli spiriti per la creazione di riff e canzoni. Spiriti buongustai. I RHCP senza Frusciante sono come il pesto senza l’aglio, quindi ben vengano gli spiritelli spiritosi. Tornando all’album spirituale “A Love Supreme”, si compone di una suite divisa in 4 parti in cui l’artista parla di un viaggio spirituale: Acknowledgement (“presa di coscienza”), Resolution (“riconoscimento”), Pursuance (“conseguimento”), e Psalm (“salmo”, “preghiera”). Nella prima composizione, Acknowledgement, Coltrane trasforma il suono del sax in voce: ripete il mantra «A Love Supreme» (“Un amore supremo”) che dà il titolo all’album e che sottolinea la gratitudine dell’artista nei confronti dell’Onnipotente. L’artista ammette che il talento da lui posseduto è dono di un potere soprannaturale spirituale più elevato.
«Durante l’anno 1957 sperimentai, per grazia di Dio, un risveglio spirituale che doveva condurmi ad una vita più ricca, più piena, più produttiva. A quel tempo, per gratitudine, chiesi umilmente che mi venissero concessi i mezzi ed il privilegio di rendere felici gli altri attraverso la musica. Sento che ciò mi è stato accordato per Sua grazia. Ogni lode a Dio.» |
(Dalle note di copertina scritte da John Coltrane per l’album A Love Supreme) |
«Il mio obiettivo è vivere in modo veramente religioso ed esprimerlo con la musica. La mia musica è l’espressione spirituale di quello che sono: la mia fede, il mio sapere, la mia essenza» |
(John Coltrane) |
Nella versione Live di Seattle scoperta or ora, ci sono quattro Interludi e brani dilatati e spinti ancora di più verso una ricerca o una voglia di capire Dio e l’Universo. Chissà se John, adesso, avrà dialogato con Dio.
NEL FRATTEMPO IL JAZZ CONTINUA A MUTARE
Negli anni ’60 artisti della Bossa Nova brasiliana iniziano a collaborare con jazzisti: un esempio è il featuring João Gilberto (Bossa Nova) e Stan Getz (Jazz) nell’esecuzione famosissima di “Garota de Ipanema“. Una canção che parlonji dela beleza feminina du Brazil…ed è subito Copacabana con il pareo bianco indossato ed il copricapo da samba.
Un Jazzista che apprezzo particolarmente è quel fiero di Charles Mingus, perchè la sua musica tiene incollati tradizione (il jazz di New Orleans) ed il futuro, in un abbraccio passionale fatto di bassi in risalto, di suoni vorticosi di sax, di toni caldi, di improvvisazione meno estrema. Famosissime sono “Moanin’” (rifacimento più coinvolgente dell’originale di Art Blakey), “Boogie Stop Shuffle” (ascoltate la versione eseguita da un gruppo pazzesco che mischia jazz e ska: la New York Ska-Jazz Ensemble), ma la mia preferita è “II B.S.”. Inizia con il contrabbasso che ti fa vibrare la gabbia toracica, via via si velocizza, in punta di piedi entra la batteria, poi il Sax baritono, il tenore, la tromba ed ecco che si giunge ad un’esplosione di suoni che fanno godere.
Verso la fine degli anni ’60 il rock pervade il globo terrestre ed il jazz trova nuova linfa trasformandosi in Fusion. Vengono introdotti strumenti elettrici tipici del rock. Molti sostengono che la prima incisione di questo genere sia Hot Rats di Frank Zappa. Album strepitoso composto da un artista altrettanto megagalattico. Ne parlo nell’articolo “Jazz Fusion” nella decade “1970/1980” del menù principale.