1971/1980

GLAM ROCK

Boa di struzzo attorno al collo, acconciature poco sobrie, paillettes, tutine luccicanti e make-up appariscente, profumo di cipria misto a odore di sudore post-concerto, androginia e sensualità.
Siore e siori, entra in scena il Glam Rock, o Glitter Rock, che dir si voglia.

A proposito di Glitter, un artista Glam, soprannominato Gary Glitter, scrisse “Rock & Roll (Part. 2)”: la colonna sonora nel film Joker, quando lui scende la famosa scalinata, scrollando di brutta maniera (tra l’altro..Joacquin Phoenix..slurp!). Ecco, Gary Glitter ormai è innominabile, condannato in Gran Bretagna per possesso di pedopornografia e in Cambogia per atti osceni con minore. Gary Galera per sempre!

Lasciamo questo scarto dell’umanità, per parlare dei miei amori infiniti: i veri esponenti del Glam sono Marc Bolan, David Bowie e Bryan Ferry con i suoi Roxy Music.

In madrepatria, invece, possiamo vantarci di avere un numero uno, il capo dei Sorcini, l’eclettico Renato Zero. Anche per lui trucco e vestiti degni di nota. Adorissimo, soprattutto perché mia zia Mire c’era sotto dibbrutto.

Ma perché i suoi fan si chiamano sorcini? Una volta Zero chiede ad un amico di fare un giro in motorino ed un’orda di ragazzini lo seguono sui loro motocicli. Sembra la rivisitazione della fiaba del Pifferaio Magico. Pare che lui abbia detto alle forze dell’ordine intervenute: “Lasciateli stare, sono carini, sembrano tanti sorcini”.


Tornando nel Regno Unito, il Glam si caratterizza per le canzoni di facile ascolto, la chitarra in primo piano, i testi frivoli e leggeri ad un primo ascolto. È un miscuglio di Bubblegum Pop di fine anni ’60 e di Rock’n’Roll. Tanto amo il Glam Rock, quanto mi fa ribrezzo il Glam Metal dei Poison, Cinderella, Def Leppard e Mötley Crüe con i loro capelli vaporosi e cotonati. Imparagonabili per sostanza ad artisti del calibro di David Bowie e compagnia cantando.

Se da una parte abbiamo il Glam Rock nato nel Regno Unito per mano e chitarra di Marc Bolan, negli USA c’è il Glitter Rock dei New York Dolls con il loro suono più duro e grezzo che anticipa quello degli Stooges e di Alice Cooper. 

Dopo l’assassinio dello Zar Alessandro II nel 1881 e i conseguenti tumulti della comunità ebraica, il nonno paterno si trasferisce a est di Londra. Ha origini russo-polacche e le braccia di uno che piega i tronchi di faggio a mani nude: quando arriva a Londra, si suona come un tamburo nei giri clandestini, per fare un po’ di grana. Si vocifera che abbia accoppato un cavallo con un dritto in mezzo agli occhi.

Questa genetica viene tramandata a suo figlio e ai nipoti: nel ’47 arriva Mark conlacappanonconlaci. Fin da piccolo vuole diventare una rockstar.

“A nove anni sono diventato Elvis Presley. Quando ero giovane, credevo davvero di incarnare un’essenza superiore. E non mi sentivo affatto collegato ad altre forme di vita umane… creai un mondo dove io ero il re del mio quartiere”.

Per il suo nono compleanno riceve una chitarra da nove sterline e a 12 anni diventa bassista di un gruppetto. Coltiva la passione per l’abbigliamento, dopo aver letto la biografia di Beau Brummel, il dandy per eccellenza. Matura la convinzione che l’aspetto esteriore fosse fondamentale per attrarre la gente. 

Un giovane Bolan Mod

Si veste da mod e si unisce al movimento: un giornalista lo nota e gli scatta delle foto. Fa il modello, ma persevera con la musica, fino al rifiuto ricevuto dalla casa discografica EMI. Si prende un periodo sabbatico andando in Francia, dove divide l’appartamento con un coinquilino appassionato di magia. Entra nel mondo di Tolkien e si lascia ispirare scrivendo pezzi come “The Wizard”. Lui si fa chiamare  Bobbing Elf, ossia elfo danzante: Marc è un mezzo tappino pieno di energia. Sostituisce il chitarrista dei John’s children, ma ne esce presto, perché mentre gli altri si spaccano di stupefacenti, lui si dedica alle composizioni, ma non ha il “potere” di dire troppo la sua. Insomma, lui vuole essere il leader e bon.

Mette un’inserzione per formare un gruppo che si chiamerà Tyrannosaurus Rex, il dinosauro che ricorda un po’ le sembianze dei draghi di Tolkien. Dopo aver reclutato i musicisti, organizza in quattro e quattr’otto un concerto, senza provare. Un disastro: licenzia chitarrista e bassista e tiene il batterista, che gli pareva fosse l’unico a capire cos’avesse in mente di fare. Chiamerà il batterista Steve “Peregrine Took”, in onore al peregrino Tuc del Signore degli Anelli. Oh, c’è proprio rimasto.

Ritrovatisi presto senza soldi, Steve vende la batteria e prende dei bonghi e giochi-strumenti per bimbi. Lui e Bolan formano un duo acustico e ottengono consensi nell’underground e da parte della comunità hippie. Narrano storie di elfi, streghe, draghi, guerrieri e druidi. D’altronde Bolan sostiene di essere la reincarnazione di un bardo celtico. Si si, ne è pienamente convinto.

Took ci va sotto con l’ LSD e Marc assume un batterista meno bravo, ma più bello esteticamente e in linea con la sua personalità. Molla la chitarra acustica, per imbracciare quella elettrica. Diventa un Electric Warrior. Assume altri musicisti (basso elettrico in primis).  La stampa stronca questa decisione e dichiara il decesso dei T.Rex.

Influiscono sulle scarse vendite le critiche degli hippy, che finora sono stati i suoi principali acquirenti, accusandolo di aver rinnegato le radici acustiche, reputando l’elettrificazione un compromesso con il consumismo.  Se ne sbatte la ciolla degli hippie, perché intanto non sganciano molti soldi per comprare i dischi: bisogna far presa su una fetta di popolazione diversa.

Il punto di svolta arriva quando i T.Rex sostituiranno i Kinks al Glastonbury Festival. L’anno dopo, nel 1971, esce il secondo album, “Electric Warrior” con il singolo “Get it on”, anzi no… rinominato “Bang a Gong”, perché get it on vuol dire “fare sesso”. Uh, oscenità.  È una cosa brutta e cattiva. Meglio trovare i bambini sotto le foglie di cavolo o portati dalle cicogne. Comunque i gemiti e il modo lussurioso di cantare di Bolan sono inequivocabili…ti fanno sudare e immaginare.

Si esibiranno alla BBC dove Marc si mostrerà truccato e luccicante. I teenager in visibilio lo seguiranno in tournée imitandolo nel make-up e nell’abbigliamento. Il suo successo decolla, poi divorzia dalla moglie, licenzia il produttore e alcuni componenti del gruppo abbandonano il progetto. Lui ingrassa e si inonda le narici di cocaina. Avrà un attacco cardiaco, ma presto riprenderà in mano la sua carriera, grazie anche alla vicinanza e al sostegno di David Bowie.

Gli affidano un programma TV e qualche giorno prima di morire invita il suo amico David Bowie come ospite. Marc Bolan non prende la patente, perché ha paura di guidare e sente che morirà giovane per un incidente. Il suo ex produttore,  memore di questa convinzione dell’artista, gli dice di non morire alla guida di una Porsche, come fece il suo idolo James Dean; Bolan gli risponde che lui è troppo basso di statura e che al massimo morirà in una Mini. Il 16 Settembre del 1977, a 29 anni, muore in un incidente, su una Mini guidata dalla fidanzata Gloria Jones (che si procurò solo delle fratture). I presagi, quelli brutti. Il figlio di 2 anni è a casa con i nonni e David Bowie si occuperà di lui nei successivi 20 anni, fino all’indipendenza economica di Rolan Bolan.

Vi lascio con il video di questi due amici che strimpellano le chitarre. 

 Ziggy Stardust, Alladin Sane, Halloween Jack, Nathan Adler e, soprattutto, The Thin White Duke: le mille maschere di Bowie, ciascuna con uno stile, un trucco, una storia di vita e ideologie diverse… come in un Disturbo Dissociativo di personalità. 

Invece no, queste sono le vite di uno dei piu grandi artisti del pianeta Terra e di tutto l’Universo. Nasce l’8 Gennaio e muore nella notte tra il 9 e il 10 Gennaio 2016. L’8 Gennaio 2016, due giorni prima di morire, esce il suo album-testamento “Blackstar”: una stella del firmamento si spegnerà per sempre e con lui tutti i sogni che lui ci ha indotto a immaginare. Il singolo “Lazarus” ed il relativo video (just a little bit inquietante) sono profetici, ma David ci dice di guardare lassù perché lui è in paradiso, finalmente libero come un uccello. Opera d’arte vivente.

Facciamo un salto carpiato all’indietro e vediamo come si evolve un genio.

Tutto comincia da piccolo con il coro della chiesa, poi prosegue con il sax, il pianoforte, la chitarra, il violoncello… e chi lo ferma. Polistrumentista, pittore, cantante, attore (per artisti come Lynch, Nolan e Scorsese).

Un giorno guarda sua cugina ballare e dimenarsi come una tarantolata, sulle note di “Hound Dog” e da lì  capisce il potere della musica. Vuole diventare Elvis, proprio come il suo migliore amico Marc Bolan nelle fantasie da infante.

Si appassiona al jazz grazie al suo fratellastro più grande, che diventa uno dei suoi punti di riferimento.  Gli diagnosticano una schizofrenia paranoide, confinato in un reparto psichiatrico, morirà suicida. Ispirerà molti brani di David come “The man who sold the world“, “The bewlay brothers“, “Jump they say“. Da adolescente suona il sax e poi canta in un gruppetto. Litiga con Underwood per una ragazzina, lui gli sgancia un cartone in faccia: gli procurerà quella midriasi cronica agli occhi, che negli anni diventerà una caratteristica peculiare di David (non ha le iridi degli occhi diverse, ma in uno ha una pupilla perennemente dilatata). È onnivoro di musica, è famelico e sempre in cerca di artisti dei quali innamorarsi. Adora i Velvet Underground e Lou Reed (del quale poi diventerà amico).

Rimane folgorato da Iggy Pop, l’iguana, il ragazzaccio di Detroit che canta nei grezzi e ruvidi Stooges: David è uno di Londra sud e non potrà mai essere come lui.. o forse no.. magari potrebbe creare un alterego dal nome simile. Ziggy  Stardust. È un alieno. Anzi no, è un messaggero umano, un profeta che informa gli abitanti della Terra, dell’arrivo imminente di alieni, degli “infiniti”, con i quali comunica grazie ad una radio. “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mar” è il 5° incredibile album di David. Da piccolo sognava di scrivere un musical per Broadway, ma fa di meglio…scrive e compone questo concept album folgorante come un fulmine.

Ziggy Stardust nasce nel 1972 durante un’esibizione a Top of the Pops: il messaggero canta “Starman” rivolgendosi ai giovani degli anni ’70, fissando dritto in camera e indicando con l’indice. Sembra dire: “Si, dico proprio a voi”. 

Tutto nasce nel ’66, quando Bowie incontra l’eccentrico e, spesso ebbro, rocker Vince Taylor.

 «Andai ad alcune feste con lui ed era fuori di testa, completamente flippato. Si portava appresso cartine dell’Europa e ricordo distintamente che una volta aprì una mappa a Charing Cross Road, fuori dalla stazione della metropolitana, la mise per terra e si inginocchiò con in mano una lente… disse che stava evidenziando tutti i luoghi dove gli UFO avrebbero dovuto atterrare nei mesi successivi. Era fermamente convinto che ci fosse un fortissimo legame tra lui, gli alieni e Gesù Cristo».

Il pusher dev’esserne stato orgoglioso.  Taylor ciocca pesantemente, fino a quando si presenta sul palco vestito di bianco e afferma di essere Gesù  Cristo, con molta umiltà. David rimane colpito da questo personaggio partito per la tangente e per un viaggio intergalattico.

A proposito di trip spaziali, vogliamo parlare del mio brano preferito di David? “Space Oddity” e si frigna pesantemente. La torre di controllo (Ground Control) comunica con Major Tom, l’astronauta che sta per lanciarsi verso l’infinito e oltre. Parte il Countdown. Le raccomandazioni della Torre di controllo “prendi le pillole di proteine e indossa il casco e che Dio ti assista”. Major Tom controlla i comandi. “left off”: il razzo parte. Oltre l’atmosfera, lascia la capsula e osserva il Pianeta blu. Osserva le stelle che viste da lì sembrano diverse. Fluttua. Subentra un problema di comunicazione con la Torre di Controllo. “Can you hear me Major Tom?”, ma dall’altra parte c’è un astronauta perso nello spazio, che non sente più  nessuno, immerso nella solitudine e nello splendore. Il suo unico pensiero è che dicano a sua moglie che la ama tanto. E io piango in maniera pesante. 

Quindi tra baci e viaggi stellari, facciamo un recap: nel ’69 l’allunaggio dell’Apollo, nel ’72 l’arrivo di Ziggy Stardust, il 3 luglio 1973 la scomparsa del messaggero dai capelli arancioni e la saetta sul viso. Quella sera Bowie si esibisce all’Hammesmith Odeon di Londra (concerto incredibile visibile interamente su Youtube) e dichiara il “Rock’n’roll suicide” del suo alterego. Dirà al pubblico “questo sarà l’ultimo show”. La gente urla incredula. Lui li esorta a tranquillizzarsi dicendo “be quiet”. Imbraccia la chitarra, inizia a cantare per l’ultima volta nei panni di Ziggy.

Compare al suo posto l’aristocratico, algido e austero Duca Bianco. Una nuova maschera per Bowie. Abiti di sartoria 3 pezzi tendenzialmente bianchi e azzurrini, scarpe eleganti, capelli biondissimi ariani ed ordinati, ideologia fascistoide (opposta a quella di David). Ecco il nuovo alterego The Thin White Duke. Chiamato così anche per la sua tendenza a farsi dosi massicce di cocaina. Ogni giorno strisce di coca come la pista del gigante ai tempi della Compagnoni e Tomba. Compone “Station to station” senza ricordarsi una cippa lippa dopo la sua uscita. Nel mentre, Iggy Pop si aggira come uno zombie per Los Angeles, fatto come un cocco e privo di idee: i due decidono di ripulirsi e di andare a Berlino,  che peraltro all’epoca era il paese dei balocchi per gli eroinomani.

I due si fanno forza, si sostengono, combattono e passano dalla dipendenza all’indipendenza. Iggy a Berlino scrive gli album “The Idiot” e “Lust For Life” (proprio due album a caso), mentre Bowie la cosiddetta trilogia berlinese “Low” (1977), “Heroes” (1977) e “Lodger” (1979).

Ah, Heroes… un turbinio di synth impacchettato da Brian Eno, misto alle mie lacrime di emozione e all’intimità di Bowie. Scrive questo pezzo guardando un bacio tra il suo produttore Tony Visconti e la fidanzata, sullo sfondo c’è il Muro di Berlino. La canzone parla di due fidanzati che si baciano all’ombra del Muro, che tenta di ostacolarne l’amore… ma l’amore vince sempre e ciascuno di noi può essere un eroe, almeno per un giorno. 

Travestismo+ Futurismo+ Revivalismo= Dandy elettronico = Bryan Ferry. Il travestimento definisce la personalità dell’artista, che ha bisogno di distinguersi dalla massa. Il futurismo lo catapulta nello spazio come un’allucinazione psichedelica. Il revivalismo è il recupero del sound passato e rivisitato.

Il dandy è uno sperimentatore, un menestrello elettronico che non si contrappone alla società prendendo una posizione politica, ma sfoga tutto sul sesso e sulla sua simulazione. 

Bryan é figlio di un minatore di Newcastle e per scrollarsi di dosso quell’accento, studierà per anni la dizione perfetta per essere più dandy che mai. Si laurea in Belle Arti e mentre fa l’ insegnante Ceramista, mette un annuncio sul Melody Maker per cercare i componenti del gruppo. Rispondono lo scienziato futurista Brian Eno, il teddy-boy Phil Manzanera, il laureato al Conservatorio Andy McCay e Paul Thompson. Insieme sono destinati a fare cose grandiose.

Nascono i Roxy (Rock+Sexy), che presto cambieranno nome in Roxy Music. Bryan è appassionato del bello, come un vero esteta. È un perfezionista, è elegante, è edonista e “smarrisce” per 3 volte il passaporto…perché in foto è venuto male. L’aereo sul quale viaggia con direzione Nairobi, rischia di precipitare e, dopo lo spavento, Bryan con nonchalance  dirà:

“Non riuscivo a pensare ad altro se non ai calzini di quell’uomo. Erano a righe, brutti, non mi piacevano proprio”.

Grande, dovrebbe vedere i miei calzini imbecciabili. Torniamo alla musica: dall’album omonimo a “Avalon” si gode un mucchio, con brani che entreranno per sempre nella storia, da “Virginia Plain” a “Avalon”, passando per “More Than this”. Dadaismo, decadentismo e romanticismo fusi insieme nelle melodie, nel sound e nel canto di Ferry. Io adoro il disco “For your pleasure”, l’ultimo con Eno, con Amanda Lear in copertina che tiene una pantera al guinzaglio.

L’album contiene il mio brano preferito dei Roxy Music, ossia “Every Dream Home a Heartache”. Scritto come una sceneggiatura, tetro, cupo come la voce di Ferry che recita un monologo. Un uomo molto ricco è solo nella sua villa. Cerca di colmare il vuoto che ha dentro, comprando oggetti da sfoggiare. La sua solitudine si percepisce. Poi si concentra su qualcosa che descrive con trasporto:

“I bought you mail order, my plain wrapper baby. Your skin is like vinyl, The perfect companion. You float in my new pool de luxe and delightful”

 “Ti ho acquistata per corrispondenza, la tua pelle è come il vinile. La mia compagna perfetta che galleggia nella mia nuova piscina”. 

“Inflatable doll, my role is to serve you. Disposable darling, can’t throw you away now. Immortal and life size. My breath is inside you, I’ll dress you up daily and keep you till death sighs. Inflatable doll, lover ungrateful.”

Ecco, e noi che siamo illusi pensando che si trattasse di una persona in carne e ossa. Trattasi della sua nuova bambola gonfiabile. Immagine potente e senso di tristezza, fino al culmine,  ossia quando Ferry pronuncia quelle dieci fatidiche parole: 

“I blew up your body, but you blew my mind “

“Con il fiato gonfio il tuo corpo, il tuo corpo che mi toglie il fiato”

E parte una suite… che ti lascia senza fiato. Un tripudio esplosivo di suoni, con un assolo fragoroso che non ti aspetti, ti spiazza, ti capita lì,  all’improvviso.  La canzone sembra finire…e invece no. Riparte in pompa magna. Il finto finale più lungo della storia è nato casualmente: la parte del solo è molto lunga, così si opta per tagliarla e di riprenderla come inizio del lato B dell’LP. La canzone quindi sfuma sul finire del lato A e ricomincia all’inizio del lato B. Una volta inciso su CD ,in epoca recente, hanno deciso di mantenerlo, creando così  il fake finale. Bryan Ferry dice che questo è il pezzo del quale va più orgoglioso ed io non posso che dargli ragione. Buon ascolto!

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