1961/1970

PSICHEDELIC ROCK

16 Aprile 1943: il chimico svizzero Albert Hoffman della Sandoz Pharmaceuticals, usa pipette e provette, fa miscugli strani, sperimenta e sintetizza la “dietilamide dell’acido lisergico”, nota ai più, come LSD. Da questo momento, molti giovani partiranno per dei viaggioni, tenendo per mano Lucy in the Sky with Diamonds.

«Immagina te stesso in una barca su un fiume

con alberi di mandarino e cieli di marmellata

qualcuno ti chiama, tu rispondi lentamente

una ragazza con gli occhi caleidoscopici»

(The Beatles, Lucy in the Sky with Diamonds)

Albert Hoffman psichedelico

Albert si usa come cavia e parlerà al suo supervisore scientifico, di un  “flusso ininterrotto di immagini fantastiche”. Allucinoggggeno. Questo aiutino in supplemento, diventerà compagno di trip di tantissimi artisti. Gli anni ’50 del Rock’n’Roll sono sensuali, mentre gli anni ’60 sono a dir poco STUPEFACENTI. La droga ha la funzione di “cibo per la mente”, diventa veicolo per la meditazione trascendentale, stabilendo il legame fra la civiltà occidentale e orientale. La coscienza si espande. I neuroni si strinano e puzzano di bruciato. Le percezioni e le sensazioni si amplificano, colori vivaci, gusti forti, suoni ben definiti e un bel po’ di creatività. Si sperimentano synth, theremin, sitar, tabla. Le ritmiche si estendono. Le chitarre si trascinano in assoli plasmanti. Si altera la struttura musicale dei brani dalle lunghe sezioni strumentali (si pensi per esempio a Dark Star dei Grateful Dead), passaggi dodecafonici o rumoristici.. Noi ascoltatori siamo in estasi.

La parola “psichedelico“, deriva dal Greco antico “psychē” (anima) e “dēloun” (rendere visibile, rivelare) ed il primo gruppo ad autodefinirsi tale, nel 1966, è quello dei 13th Floor Elevators di Roky Erickson.

La psichedelia muta, mentre i musicisti mescolano sapientemente gli ingredienti, viene aggiunto un pizzico di progressive (tipo due gruppi a caso come King Crimson e Pink Floyd), poi un po’ di hard rock (Led Zeppelin), una spruzzatina di glam (i T-Rex di Bolan) e, perché no, anche un goccio di heavy metal (Black Sabbath). Insomma, la psichedelia diventa trasversale..come la droga. Un sacco di droga. Quest’ultima e la psichedelia sono come quegli ingredienti che vanno ovunque, come lo zucchero (o la stevia per i fitness addicted) e il sale (quanto basta). 

Dagli anni ’80 si parla di nuova psichedelia: Stone Roses (purtroppo con una discografia più  ristretta di un caffè espresso, carriera durata il tempo di uno starnuto), Primal Scream, Echo & the bunnymen, Siouxies and the banshee. Si arriva fino ad ora con gli  MGMT, gli Animal Collective, i Tame Impala, e i miei adorati ed amatissimi King Gizzard And The Lizard Wizard. 

Qui si parla della band psichedelica di Los Angeles per eccellenza: i The Doors, ma prossimamente mi dedicherò all’acid rock britannico di Jimi Hendrix, Traffic, Cream, Soft Machine e a quello americano di San Francisco come Jefferson Airplane, Grateful Dead e compagnia cantando. 

THE DOORS 

Mentre a Frisco gli hippy mettono fiori nei loro cannoni e s’ingroppano liberamente come buoi muschiati sui prati madidi di rugiada, a Los Angeles James Douglas Morrison, figlio di un ammiraglio della marina e Ray Manzarek, entrambi studenti dell’UCLA, si sdraiano su una spiaggia di Venice e Morrison legge il testo di “Moonlight Drive” a Manzarek. Amore a primo ascolto. Da un duo si passa ad un quartetto. Ragazzi e ragazze vanno a sentirli al Whiskey A Go-Go sul Sunset Boulevard e parlano delle performance del frontman, in grado di far bollire dal caldo gli eschimesi. Lo scopo dei Doors è quello di espandere il rock oltre quelle “porte della percezione” descritte dal poeta visionario William Blake e riprese dall’autore inglese Aldous Huxley nel suo trattato sugli effetti della mescalina “Le Porte della percezione”. 

“If the doors of perception were cleansed, everything would appear to man as it truly is, infinite”

William Blake 

Non poteva che scegliere questo nome proprio lui, il “Lizard King” Jim Morrison, dionisiaco poeta decadente, attore teatrale, alfiere di feste baccanali, sciamano del rock sotto effetto di peyote. 

Poi ci sono loro, i fautori del sound ipnotico del gruppo, coloro che mettono in musica le idee metafisiche di Jim: Robby Krieger, compositore e chitarrista dai timbri latineggianti e sinuosi che usa il “bottleneck” estrapolandolo dal blues e dal country, Ray Manzarek, genio, tastierista e organista distorto che compone anche melodiche linee di basso (supplisce ottimamente alla mancanza di un bassista), John Densmore, batterista jazz fautore di ritmiche ipnotiche.

Si comincia a parlare di loro e di un loro brano lunghissimo dalle sembianze di un raga indiano con ricami orientaleggianti, vortici psichedelici che risucchiano la mente in un trip, per poi folgorarla con un finale da elettroshock. Estasi mistica e poi spasmi epilettici. Testo delirante, come se fosse stato scritto da un moribondo perso tra le dune del deserto, con la bocca arsa, il corpo disidratato, la mente obnubilata. Parla di fine, di morte, di un trionfo della negatività. Fino ad arrivare ad un richiamo edipico che suona come una cinquina in mezzo alla faccia:

“Father, yes son, I want to kill you

Mother… I want to… fuck you”

Jim si muove come un isterico tarantolato. Il pubblico rimane attonito per undici minuti. Si, undici minuti di “The End”. Quella “fine” che invece segna l’ascesa del gruppo, il loro inizio. 

La band, dopo quel live, ottiene una popolarità inaspettata, la gente parla dei Doors e presto arriva un contratto discografico con l’Elektra. 

Quando i Velvet Underground toglievano l’anima al rock, i Doors gliene donavano una più primitiva, tormentata, tenebrosa ed istintiva. 

Il brano cult diventa “Light My Fire”. Fuoco, sesso, sangue. Orgiastico trionfo dei sensi. Ventimila cover negli anni a venire. 

Mentre l’album d’esordio “The Doors” mi fa venire in mente un canyon arido e bollente, un Jim Morrison che parla con gli spiriti degli indiami pellerossa, il secondo LP “Strange Days” mi evoca l’immagine di un cielo plumbeo con le nuvole sono gonfie di pioggia. Evoca solitudine, tenebre.

“Love Me Two Times” con il suo splendido riff di chitarra, “Strange Days” con il sound impalpabile, pastoso, continuo.

“People Are Strange”: Jim balla in questa danza solitaria e guarda tutti quelli che lo circondano con sguardo stranito. 

Durante le session di registrazione del brano “You’re Lost, Little Girl”, i Doors chiedono a Morrison di utilizzare un timbro più delicato in una frazione del brano. Jim non sa come fare per assecondare questa richiesta, ma gli si accende una lampadina:  la leggenda narra che la performance sia stata aiutata dalla sua compagna Pamela.. una bella fellatio e via.. voce delicatissssima.

Album pazzesco che termina con “When The Music’s Over”, anch’essa parla di fine, ma al contrario della sua celebrazione in “The End”, qui è fuggita e temuta e viene richiesto l’intervento salvifico del Messia.  Questi canti di fine che suonano come un esorcizzare la paura della morte.  

“Waiting For The Sun” è meno oscuro, più poppeggiante, musicalmente  non ha nulla da invidiare agli album precedenti. Mi sa di un risveglio sudato dopo una nottata agitata. 

Inizia a tirare aria di crisi, complice la voglia di devastazione di Jim. Le droghe e l’alcol non lo aiutano a dar libero sfogo alla creatività,  ma lo schiacciano, lo rendono meno libero di viaggiare, psicotico ed in perenne distacco dalla realtà. 

“La liberazione interiore è l’unica cosa per cui valga la pena di morire, l’unica per cui valga la pena di vivere.”

Vuole superare le Porte, ma ci va a sbattere contro. 

Dopo lo sterile album “The Soft Parade”, arriva “Morrison Hotel” con un sound più hard rock . “Roadhouse blues” ti fa venir voglia di ballare mentre passi la scopa sul pavimento, di lanciare il reggiseno dal terrazzo su Via Cantore.  Boh, a me il blues fa un effetto strano. Più  afrodisiaco delle ostriche e della cioccolata. “Peace Frog” è il mio brano preferito dell’album, un boogie incalzante con un tocco di psichedelia, che si aggiunge alla super “Waiting for the Sun”, brano scartato dall’omonimo disco. 

Dal risveglio sudato dopo una nottata agitata di Waiting for the sun, alla notte di eccessi a Los Angeles è un attimo. Ecco cosa mi immagino quando ascolto “L.A. Woman”: un viaggio in auto, durante la notte illuminata da lampioni ed insegne, un sacco di cemento. Jim Morrison è un cantastorie blues vecchio stampo. L’energica “The Changeling” sembra fin allegra con un po’ di sound funkeggiante. Ssssspumeggiante! 

Tuttavia, questo disco verrà ricordato soprattutto per l’ultima traccia. L’ultima in tutti i sensi: “Riders on the Storm”, la degna chiusura di una storia, che in realtàsegna una rinascita, al contrario di the end e when the m.. fine, morte, tenebre, inizio, vita, luce. Tutto questo è il mondo Doors. Piove. I suoni pastosi del charleston e dell’organo elettrico , poi la voce calda e profonda di Jim, la chitarrache entra delicatamente, la psiche che si aggroviglia, le Porte che vengono oltrepassate. Jim il 3 Luglio 1971 apre leggermente le porte, intravede una luce e decide di spalancarle.. per poi non fare più ritorno. Così a Parigi,la città dei poeti maledetti, immerso nella vasca da bagno, se ne andrà Jim, a 27 anni. Proprio come ne “La Morte di Marat” di Jacques-Louis David.

 Parigi, la città che diede i natali ad Arthur Rimbaud, non a caso l’autore preferito di Jim. Come il cantante, Rimbaud da tempo profetizzava la sua morte.  Fra gli effetti personali ritrovati nella casa parigina, c’era una delle prime sceneggiature scritte da Oliver Stone, intitoltata “Break”, dove Stone narra di esperienze vissute durante la guerra del Vietnam. Il regista avrebbe voluto proprio Morrison come protagonista – per questo gliela aveva inviata. Jim raggiunge, chissà dove, Brian Jones, Jimi Hendrix e Janis Joplin.

Al momento della morte di Jim erano in atto almeno una decina di cause contro di lui, intentate da donne che lo ritenevano il padre dei loro figli. Speriamo ci sia davvero ancora qualche traccia del tuo DNA.

Ciao, Mr Mojo Risin’.

BEAT GENERATION

Quest’espressione viene coniata nel 1948 dallo scrittore Jack Kerouac, per indicare quel movimento giovanile anticonformista che, a partire dal 1968, porrà le basi della contestazione nei confronti della guerra del Vietnam e della nascita del movimento hippy.

Colloquialmente, in inglese asganauanayeah, il termine “beat” vuol dire essere stanco, abbattuto, alludendo alla società che non riesce ad imporre a tutti, i suoi schemi e le sue costrizioni.

Kerouac manipola semanticamente il termine e ne stravolge il significato attribuendo ad esso una connotazione positiva di beatitudine.

“(…)Si, dentro la chiesa, il grande silenzio della chiesa…e improvvisamente mi sono reso conto: beat! Beat vuol dire beatitudine, beatitudine! Beatificato! Dentro la chiesa c’era la beatitudine…capisce? (…)”

(Kerouac in Guarnaccia, “Beat e mondo beat: chi sono i beats, i provos, i capelloni”)

In italiano il termine beat si riferisce alla beatitudine, alla salvezza ascetica dello spiritualismo Zen, al misticismo indotto dall’uso ed abuso di droghe e di alcol ed insomma a tutto ciò che rende libera la mente…e forse anche un po’ fusa.

Il movimento della beat generation, nasce dagli incontri di un gruppo di amici scrittori e poeti come Kerouac, Neal Cassidy e Allen Ginsberg che si incontravano con altri ragazzi presso il Greenwich Village di New York per discutere, scambiarsi idee e far baldoria, tracannandosi dei boccali di alcol e fumando la passiflora mista al rosmarino.

Questo circolo di amici si ispirava molto alle teorie cosmogoniche del libro “Eureka” di Edgar Allan Poe che, oltre ad essere l’unico poeta maledetto americano, rappresenta il modello dei poeti maledetti europei. Questi giovani scrittori usano carta ed inchiostro, per riportare i loro personali viaggi mentali, stimolati dall’uso di LSD, e fisici, per le strade degli USA usando rigorosamente l’autostop.

Erano giovani saturi della società in cui vivevano e che ricorsero a sostanze stupefacenti, all’alcol, e all’autostop non per fuggire dalle responsabilità, ma per costruire il proprio stile di vita con le proprie regole da rispettare. E che regole.

Per quanto concerne la fede e la spiritualità, il beat è in costante ricerca di uno stato analogo al Nirvana (grazie anche a qualche aiutino extra). Il giovane beat si avvicina allo spiritualismo Zen, al taoismo e al cattolicesimo, per distaccarsi dal mondo e raggiungere la beatitudine. Gli appartenenti a questa controcultura interpretano a loro modo il cristianesimo: Jim Oaks Bryan nel suo libro “Jesus was a beatnik” sostiene che il Messia possa esser considerato il primo beatnik della storia in quanto rifiutò l’ipocrisia della società in cui visse, soffrendo il martirio. Ed è subito Ted Neeley in “Jesus Christ Superstar”.

ll tabù del sesso viene sdoganato: il beatnik ritiene che la libertà sessuale sia un’altra via percorribile, per raggiungere la tanto agognata estasi. Il portavoce involontario di tale pensiero è lo psicanalista austriaco Wilhelm Reich le cui teorie, presenti nel libro “La teoria dell’orgasmo”, vennero condannate come pericolose dal tribunale americano e per tale ragione i suoi libri vennero arsi in piazza, tipo “Fahrenheit 451”.

La teoria più importante reichiana è quella orgonica : egli sosteneva che esistesse un’energia cosmica, quella orgonica, che viene prodotta durante l’atto sessuale, privo di inibizioni e costrizioni permettendo all’individuo la piena estrinsecazione di sé stesso. Dai, estrinsechiamoci un po’.

Gli autori beat esprimono dure critiche nei confronti della segregazione razziale dei neri, della guerra in Vietnam, delle discriminazioni in base all’orientamento sessuale e della condizione subordinata della donna. Il beat critica aspramente l’intero sistema statunitense.

La Mecca dei beats è San Francisco in quanto la California è il simbolo di un’America meno oppressiva e meno industriale rispetto all’Est degli Stati Uniti, dove la cultura ricorda quella tipicamente mediterranea improntata sul laissez faire.

La Bibbia dei beats invece è “On the road” scritto da Kerouac nel 1957, in tre settimane, durante un viaggio itinerante tra la polvere e le montagne degli Stati Uniti: zaino in spalla (carico di sardine sott’olio, mercanzie e bottiglie rigorosamente vuote) e autostop.

In seguito all’uscita del libro cult “On the road”, la figura di Kerouac ed il movimento beat si fanno conoscere ancor più grazie ai quotidiani ed alle riviste: nel 1959, sul mensile “Playboy” (fondato nel 1953 da Hugh Hefner) esce un articolo scritto da Kerouac in cui egli spiega cosa significa beat ed essere un beatnik. Playboy, una delle poche riviste ufficiali che ha trattato tematiche ritenute tabù fino ad allora( ad esempio la legalizzazione delle droghe leggere, il sesso, i nuovi stili di vita controcorrente ed i diritti delle minoranze), ha dato spazio alla voce di scrittori contemporanei ed alle foto di artisti visivi.

Nel 1971 la rivista alternativa francese “Actuel” che spesso tratta argomenti come le culture marginali, l’ecologia e la liberazione dei costumi, pubblica un estratto del libro “Jack Kerouac”.

La musica dei beats è fatta di jazz e bop: Kerouac si rifà alla struttura del jazz nel modo di scrivere e nella punteggiatura come se le frasi fossero respiri della mente; il jazz è improvvisazione e libertà e proprio per questo viene ritenuto il genere preferito da questo movimento giovanile che vuole emanciparsi e liberarsi dalle catene imposte dalla società.

Da questo genere musicale deriva il termine chiave del movimento: hipster. Hip nel linguaggio jazz indica un appassionato del genere e del bop, ma con il passare del tempo questo vocabolo, con l’aggiunta a posteriori della desinenza –er, diventa una qualificazione personale. La persona hipster protegge la sua individualità autentica, è profondamente asociale e rifiuta di mantenere contatti formali e continuati con gli altri esseri umani perché è angosciato dall’insincerità della vita moderna e dalla superficialità.

Sociologicamente la formazione-tipo dell’hipster è la seguente: nato all’incirca negli anni ’30 in America, presso una famiglia solitamente appartenente al ceto medio che vuole riacquistare una sicurezza finanziaria tramite il New Deal. Adolescente che ha presumibilmente combattuto durante il secondo conflitto mondiale o la guerra in Corea, egli ha quasi sicuramente frequentato corsi umanistici universitari. Intellettualoide.

I discepoli degli hipster sono i bohemians che, pur rifiutando le ipocrisie del sistema americano come i loro ispiratori, accettano ancora le istituzioni fondamentali come la famiglia ed il lavoro. Colui che invece accetta e rispetta senza remore i vincoli imposti dalla società è lo square.

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