1961/1970

FUNK

Il Funk è un fiore stupendo sbocciato grazie alle solide radici SoulJazz e Rhythm & Blues. Solo che, al contrario dei fiori che emanano profumi delicati, il “funk” allude all’odore di pelle carica di feromoni: nello slang nero, infatti, questo termine indica la fragranza prodotta dai corpi durante l’atto sessuale. Funk odora di musicista con la fronte madida e le ascelle pezzate, di sforzo fisico atto a originare una performance con i fiocchi. “Funky” quindi sa di sexy , di dirty sex, di umidiccio.

Personalmente, se penso a questo genere, mi viene in mente il viso grondante del suo creatore James Brown durante i live.

Il Funk è groove, è basso e batteria che si amalgamano in ritmi sincopati e incalzanti, è un suono che viene dalla pancia, viscerale, tribale come il sesso. Torna l’improvvisazione, tipica della musica afroamericana, che si era un po’ persa col rhythm’n’blues. Negli anni ’60, dopo gli album di James Brown, il creatore indiscusso del funk ispirato dal suo sassofonista Maceo Parker, si inizia a considerare il funk come un vero e proprio genere musicale.

Negli anni’70 si connota con stabili caratteristiche, grazie anche al contributo di Mr Basetta Sly Stone: ritmo sincopato, linee di basso pastose e burrosissime (esemplari quelle di Larry Graham, bassista di Sly Stone che crea lo “slap”), riff di chitarra elettrica in repeat e soprattutto ballabilità dei brani a tutto spiano.

Ben presto arriva l’innovatore George Clinton che con i suoi Parliament e Funkadelic porta una ventata di freschezza, coniando il P-Funk (che ha assunto il significato di Parliament-Funkadelic) e arrivando alla vera essenza del genere musicale. Sul ritmo incessante della batteria, si spalma il basso più elastico del solito, le chitarre acide si sovrappongono alle tastiere spaziali, i fiati si intrecciano alle voci “sudate” dei coristi. Roger Troutman con i suoi Zapp & Roger è uno dei simboli del P-Funk e introduce nuove sonorità come il “talkbox”, ossia un modificatore di voce prima utilizzato solo in collegamento a delle chitarre da gruppi rock, di lì in poi invece collegandolo da un lato a un sintetizzatore e dall’altro alla bocca.

Sul calare degli anni ’70 e gli inizi degli ’80 i traghettatori Earth Wind And Fire, Kool And The Gang e K.C. And The Sunshine Band portano il genere dalla sponda sinistra del Funk a quella destra della Disco. Il Philadelphia Soul (Philly Soul) e il Funk si fondono. Nel 1978 esce “Le Freak” degli Chic e a quel punto cala la palla sul dancefloor. Prince rinnova il tutto negli anni ‘80. Non è finita qua, perchè abbiamo le contaminazioni con altri generi:

Funk + Jazz = Herbie Hancock

Funk + Metal = Red Hot Chili Peppers e Fishbone.

Per finire il P-Funk ispira pure la nascita del Gangsta Rap.

Bando alle ciance, di seguito parlerò della Trinità del Funk: James Brown, Sly Stone e George Clinton. 

JAMES BROWN 

The Godfather of Soul nasce durante la Grande Depressione nella Carolina del Sud e cresce in Georgia. Conosce la povertà  vera, i genitori sono separati, la madre se la da a gambe levate e il piccolo James rimane solo con il padre. Quest’ultimo gli affida il compito di procurare clienti per il bordello che gestisce…ricordiamoci che il piccolo Mr Dynamite non aveva nemmeno 10 anni. Fa anche il lustrascarpe:

“Ho iniziato a lucidare le scarpe a 3 centesimi, poi sono salito a 5 centesimi e poi a 6 centesimi. Avevo 9 anni, prima di ricevere un paio di mutande da un vero negozio; tutti i miei vestiti erano fatti di sacchi e cose del genere. Ma sapevo che dovevo farcela. Avevo la determinazione di andare avanti e la mia determinazione era quella di essere qualcuno.”

Non solo è diventato qualcuno: è diventato il padrino del Soul, accipicchia!

Si adatta ad ogni tipo di lavoro, viene allontanato da scuola per gli abiti indossati poco consoni, e si dedica anche a qualche reatuccio. Arrestato e condannato a tre anni per rapina a mano armata, non si da per vinto: in carcere organizza e dirige un coro gospel; qui conosce Bobby Byrd, un aspirante cantante e pianista. Dopo il suo rilascio nel ’53 diventa un boxeur e poi un giocatore semiprofessionista di baseball. Poliedrico il ragazzo.

Byrd lo ricontatta e gli propone di unirsi al suo suo gruppo vocale R&B, The Gospel Starlighters. Mr. Please Please Please  ovviamente accetta e, con il suo talento e la sua spettacolarità, ne diventa leader. Cambia pure il nome in “The Famous Flames”, si trasferiscono a Macon, in Georgia, dove si esibiscono in alcuni locali notturni.

Registrano un demo della canzone “Please,Please,Please” che arriva alle orecchie del talent scout Ralph Bass. Ci rimane di stucco, adora la canzone e il modo di cantare del Funky President.

I Famous Flames incidono altri brani e tengono un sacco di concerti durante i quali Mr Dynamite si esibisce in un ballo isterico al termine del quale fingeva sempre che gli scoppiasse la pompetta. Tra finti infarti e sudore a secchiate tiene 5/6 live alla settimana (nelle città  dove gira più grana ovviamente) e si becca il titolo di “The Hardest-Working Man in Show Business“. Che showman, porca vacca. Che movenze, che elasticità. Se mai avessi cercato di imitarlo credo che mi avrebbero ricoverato in ortopedia seduta stante: caviglie e ginocchia volanti per la sottoscritta.  I musicisti, meschinetti, cercavano di stare al suo passo e venivano multati da lui stesso per note mancanti, attacchi in ritardo o se non riuscivano a star dietro alle sue improvvisazioni. Come ha detto uno dei musicisti di Brown, con un notevole understatement:

Dovevi pensare in fretta per tenere il passo

Ora sedetevi comodi e guardate l’esibizione di questa iena da palcoscenico. Se non vedete con i vostri occhi, non ci credete. Quando canta “Please, Please, Please” al minuto 7 e 30 secondi potrete notare James che finge di avere un malore, ma si rialza con il ruggito del leone. Scherzone.

A proposito delle sue esibizioni, vi spiego com’è nato il “Live at the Apollo Theatre“.

La King Records ce n’ha per gli zebedei di pubblicare un album dal vivo senza canzoni inedite. Sarebbe un flop pazzesco. James, però, decide di registrare il concerto a spese sue, quel lontano 24 ottobre 1962 al Teatro Apollo e prende per sfinimento la casa discografica capitanata da Bob Hobgood. Il disco esce e vola nell’Iperuranio. Tutti lo vogliono e la produzione stenta a stare al passo con le richieste. Le radio mandano in diretta tutto il lato A, breve stacco pubblicitario e poi tutto il lato B. tutto d’un fiato. il “Live at the Apollo Theatre” si piazza nella classifica di Billboard e non si muove di lì per 66 settimane.

La King Records muta. The Minister of The New New Super Heavy Funk vuole mettere in risalto le percussioni, il groove, il ritmo shuffle africano, le armonie da quartetto gospel, il tutto mischiato con uno stile canoro grezzo condito da grugniti, urli graffiati, singhiozzi, versi di stampo animalesco. Sul palcoscenico, poi, sembra proprio che non abbia tregua: un crescendo di grinta, di acrobazie, di note precise, di potenza vocale in grado di buttar giù una parete, di sermoni da predicatore evangelico, di irrequietezza esplosiva; si, si tratta proprio di Mister Dynamite.

Il gruppo che cerca di seguirlo, accompagnarlo ed accontentarlo è arrangiato da Nat Jones (santa pazienza, pover uomo) fino al ’67 , dopodiché viene condotto dal sassofonista Alfred Ellis detto “Pee Wee”. Il chitarrista Jimmy Nolen inventa lo strumming (pennata col plettro) denominato “chicken scratch” : le corde vengono premute leggermente contro la tastiera e poi rilasciate rapidamente quel tanto che basta per ottenere un suono smorzato graffiante.

Quindi stile canoro di James +Chicken Scratch e riff ossessivi (spesso basati su un unico accordo) del chitarrista +Staccate ritmiche del batterista+  +contrappunti tesi dei fiati (usati anch’essi per dare ritmo, più che per complicate armonie) =FUNK. 

I classici masterpiece sono “Papa’s Got A Brand New Bag” (1965) e “I Got You” (che tutti conoscono come “I feel good” ), ma i veri top del funk sono “Superbad” e “Sex Machine”. Finalmente Brown sbarca il lunario, ce l’ha fatta a diventare “qualcuno”, quel qualcuno che , grazie ai suoi spettacoli da tarantolato in giro per il mondo, riesce a comprare un jet privato, una flotta di limousine e diverse stazioni radiofoniche. Peccato che poi sia stato citato dal governo per aver  evaso le tasse per 5 milioni di dollari. Brownino truffaldino. 

A livello di impegno sociale, James Brown è sempre stato un fedele sostenitore della protesta afroamericana non-violenta. Una volta dice a H. Rap Brown delle Black Panthers:

Non dirò a nessuno di prendere in mano una pistola

Il 5 aprile 1968, il giorno dopo l’assassinio di Martin Luther King Jr. , regna il caos totale per le strade e le piazze americane, così James Brown decide di tenere un concerto dal vivo in TV a Boston, per tentare di contenere i disordini. Ebbene: i giovani di Boston rimangono a casa a guardare lo spettacolo in televisione, quindi pochi disagi in giro per la città. Qualche mese dopo il Padrino del Soul scrive l’inno di protesta che ha ispirato generazioni: “Say It Loud: I’m Black and I’m Proud”.

Purtroppo il nostro Universal James cade in depressione e nella dipendenza da sostanze. Il culmine dei suoi problemi personali arriva il 24 Settembre 1988: fa irruzione in un congresso di assicuratori che si stava tenendo regolarmente presso una sua proprietà, armato di fucile e pieno come un otre di alcol e stupefacenti.

In pratica ha cioccato di brutto, perchè alcuni assicuratori hanno utilizzato le sue toilette private (a detta sua). La polizia cerca di placare la situazione, ma James salta al volo in auto, come Bo e Luke in Hazzard. Da quel momento ha inizio uno degli inseguimenti in auto più visti di sempre. Stando alle testimonianze dei poliziotti, il cantante avrebbe più volte frenato di colpo per ripartire sgommando… roba che Vin Diesel ci sarebbe rimasto secco. Al processo presenzia anche la moglie trentatreenne Adrienne, che lo ha accusato due volte di averle sparato e di averla picchiata. Tempo addietro un tribunale americano aveva intimato al cantante di disintossicarsi da alcool e droghe, ma lui ha sostenuto fermamente di condurre una vita sana, interamente dedicata alla musica e al Signore.

Il giornale Rolling stone rivela, con tanto di testimonianze di persone vicine a Brown, che il cantante si droga con il Pcp, un allucinogeno sintetico. Insomma, James giura davanti al giudice che vuol rigare dritto, ma poi trascorre 15 mesi in prigione prima di essere rilasciato sulla parola nel 1991. Niente, James è recidivo e nel 1998 si fa inseguire nuovamente dalla pula. Stavolta viene “condannato” ad un programma di riabilitazione dalla droga di 90 giorni. 

L’adorato muore il giorno di Natale del 2006, stroncato da un attacco cardiaco in seguito a complicanze dovute ad una polmonite. Secondo un’indagine condotta dalla CNN, sarebbe stato assassinato. Funk e leggende.

SLY STONE 

Un giovine fanciulletto Sylvester Stewart insieme ad un fratello e a due sorelle creano un gruppo chiamato “The Stewart Four” e si esibiscono in Chiesa con i loro cori Gospel: incidono persino un singolo quando Sylvester ha appena 9 anni (i primi Jackson 5, diciamo). Qualche annetto dopo si chiameranno “Sly & The Family Stone” e spaccheranno come i pazzi.

Sly è un vero portento: a 11 anni è un perfetto polistrumentista e si destreggia benissimo dietro alle pelli della batteria, alla chitarra, al basso, ma soprattutto dietro alla tastiera. Al liceo mette su una banda, i “The Viscaynes” i cui componenti appartengono a diverse etnie e questo ispira Sly per la creazione della sua futura Famiglia Stone. Sly è sempre in mezzo alla musica: fa il disc jokey per l’emittente radiofonica KSOL, produce gruppi locali tra i quali il primo di quella figherrima di Grace Slick (che poi diventerà la superlativa cantante dei Jefferson Airplane).

Nel mentre si diletta a suonare in altri complessi e conosce i futuri componenti della Family Stone: una famiglia non biologica e multietnica con due bianchi, tre neri e due donne nere che, al posto di fare le coriste, suonano degli strumenti (Cynthia Robinson alla tromba e la sorella Rosie Stone al pianoforte). Supera il soul dolce delle sezioni ritmiche Philly e Tamla verso un sound collettivo più duro. I testi contengono profezie che uniscono slogan razziali del ghetto e utopie hippy dell’Ashbury Haight.

La loro funzione è quella di raccordo fra il soul e il rock, che fino ad allora erano rimasti generi separati. Considerati tra i pionieri del funk, sanno mischiare sapientemente questi generi con il pop ed un pizzico di psichedelia, che non guasta mai. Poi, voglio dire…il basso di Larry Graham mi fa venire le caldane!

Ispireranno artisti del calibro di Prince e Rick James negli anni ’80, mentre negli anni ’90 si lasciano influenzare Beck, Fatboyslim, Public Enemy e molti altri.

Nella mia adolescenza, in preda a subbugli ormonali, crisi esistenziali e cambiamenti fisici poco accettati, alle volte avevo necessità di no pensare, così mi chiudevo in camera, alzavo il volume dello stereo e ballavo fino a sudare fortissimo: “Dance to the music” di Sly & The Family Stone spesso era la mia overture, il mio preludio, l’intro delle mie esibizioni private. La dinamica strumentale è frenetica e caotica: la batteria che non perde un colpo con il suo ritmo incessante, il mantra dei fiati, il clarino che si intreccia al suono della chitarra, il tamburello che da continuità, il baritono che sembra cantare con le viscere, la voce leader che “oddiowowvogliolesuecordevocali”. L’insieme di voci ricorda un moderno doo-wop.

Io amo profondamente questo gruppo perchè infonde energia pura. Tutti gli album fino al 1970 vengono incisi con i musicisti che suonano dal vivo tutti assieme.

Nel 1969 esce “Stand!” che contiene uno dei miei brani prefe indiscussi: “I want to take you higher”. Chevelodicoafare, provate a star fermi mentre ascoltate questo treno di suoni che corre incessantemente sui binari. Trovo deliziosissimo il suo “Boom laka-laka-laka, Boom laka-lak-goon-ka boom”. Dopo quest’uscita partecipano anche al festival di Woodstock.

Ah, se avessi conosciuto Doc di Ritorno al Futuro mi sarei fatta catapultare al 15 Agosto del 1969 a Bethel. Tra un trip ed un altro mi sarei colmata di gioie musicali. Sly e la sua Family Stone c’è rimasto sotto con la droga nel ’69, in particolare con PCP e cocaina: andava in giro con la custodia del violino bella imbottita di sostanzacce. Questa situazione acuisce problematiche all’interno del gruppo già presenti (in particolar modo tra quel fenomeno di Larry Graham e i fratelli Stone).

Il movimento delle Pantere Nere esercita una certa influenza su Sly e chiede di creare musica più schierata politicamente. Degna di nota “Don’t call me Nigger, Whitey”. Le Black Panthers chiedono, inoltre, di allontanare i componenti bianchi del gruppo e di sostituirli con musicisti neri, per una maggior credibilità. Pensano che pure il manager bianco come il latte sia da cacciar via, in quanto capitalista sfruttatore dei neri.

Nonostante tutta questa situ avversa, riescono a far uscire “Thank You” che raggiunge la prima posizione della classifica Billboard Hot 100 nel febbraio 1970. Sly si trasferisce con la fidanzata Deborah King (che poi diventerà la Signora Santana) e perde qualche colpo: poca ispirazione per lui. Esce dunque un “Greatest Hits” che crea un tappabuchi.

Nel 1971 esce “There’s a Riot Goin’ On”, ma quasi tutte le tracce hanno parti strumentali sovraincise in studio, dunque non più dal vivo tutti assieme come un tempo. Il titolo sembra una risposta a “What’s goin’ on” di Marvin Gaye, forse per rimarcare la sua distanza dal Soul patinato della Motown. “There’s a riot goin’on” è tutt’altro. Voce sensuale, avvolgente, orgasmi pianistici, gemiti di sax e tromba, cori lussuriosi, basso che viene fortissimo, batteria che pulsa e striscia.

Quest’album è pazzesco e adattissimo per una serata al Motel K. “Just like a baby” ha il fuoco dentro e Sly, con la sua voce sovraincisa più volte, si rincorre in suoni eccitati. “Family Affair” è la colonna portante di questo album, nonchè primo brano della storia ad usare la drum machine, forse per effetto del suo isolamento auto-inflitto dal resto della band (il batterista lascerà il gruppo) o un colpo di genio, questo non si sa. Fatto sta che quell’aggeggio gli semplifica la vita e conferisce un sound unico ai suoi brani, diventando precursore del funk moderno e , decenni dopo, del rap. Insomma, “Family Affair” è un viaggione onirico. Fatevi un trip sola andata, senza ritorno.

In “Space Cowboy” io ci sento un po’ di Zappa. Sly, in fase di registrazione, canta e suona la maggior parte dei brani da solo. I dissapori “familiari” sono diventati dei fardelli troppo difficili da gestire. Questa mancanza di serenità e coesione si ripercuote ovviamente sulla voglia di fare musica insieme, sulla popolarità e sulle vendite. Larry Graham e Sly scazzano pesante e prendono strade diverse. L’unica che gli rimarrà realmente accanto è la sorella. Sly, schiacciato dalle Black Panthers, sprofonda sempre più nella coca.

La droga diventa protagonista e minaccia le esibizioni dal vivo che risultano scadenti. Capita anche che Sly abbandoni il palco a vanvera o che addirittura non si presentasse. Questo fa scappare a gambe levate i manager e i promoter di eventi musicali che ci pensano due volte prima di ingaggiarli. Troppa poca affidabilità e troppa droga.

Nel ’75 il colpo di grazia: durante un concerto l’arena è mezza vuota e Sly & Co (quelli che son rimasti) si pagano il viaggio di ritorno verso casa perchè i soldi non bastano a coprire quella spesa. Dopo tutto questo ambaradan la band si scioglie definitivamente. Per ironia della sorte, furono spazzati via proprio dall’esplosione del funk, la musica che avevano praticamente inventato loro.

Sly fa uscire qualche album solista, collabora con George Clinton, ma l’epoca della Famiglia Stone è ormai solo un ricordo.

GEORGE CLINTON

George é un giovane ragazzino e fa il barbiere. Nel suo negozio c’è un via vai di artisti. Insieme ad altri cantanti intrattiene i clienti con cori doo-wop, poi arrivano musicisti e te lo lì che nascono i Parliaments. Cerca di entrare a far parte della Motown come cantante, ma niente da fare. A ‘sto giro, però, non fa un completo buco nell’acqua, perche diventerà songwriter per l’etichetta. Grande prolifico innovatore del Funk, definisce sé stesso ed i suoi musicisti «sacerdoti della religione “della giungla e della strada”».

Creatore del P-Funk sovracitato, con i Fun­ka­delic (dal sound psichedelico simile a quello di Sly) e i Par­lia­ment (storie di jam­ming sel­vag­gio). Negli anni ’80 usa e abusa di drum machines e synth dando una ventata electro al Funk.

Nel 1967 la Revilot Records produce e promuove la hit  “(I Wanna) Testify” e i Parliaments, con i suoi 5 cantanti, spaccano le classifiche come dei martelli pneumatici . Poco dopo l’etichetta fallisce e il gruppo di Clinton deve cambiare nome per cavilli contrattuali. Belin che tormento. Eh va ben… George ha un insight e fonde due paroline  “funk” + “psychedelic”=Funkadelic. I 5 cantanti diventano ospiti, mentre i musicisti assumono un ruolo non più marginale.

George é un pozzo senza fondo di creatività e per non snaturare il nuovo sound dei Funkadelic, crea un altro gruppo…i Parliament senza la “esse”, cosi può superare il problema del cavillo contrattuale, ancora una volta! Ne sa una più del diavolo il nostro Georgino! I Parliament hanno i fiati, i tastieroni cosmici e sembra più un collettivo soul-funk, mentre i Funkadelic continuano a spingere con il psych-rock-funk.
In tutto ciò il look da alieni glam e super-folli, denominato poi “African Glamour”, la fa da padrone. Ma perché si conciano proprio da extraterrestri variopinti? Perché  Clinton da forma al suo Universo dopo un evento particolare.

“Tutto è iniziato una notte di tanti anni fa mentre ero in macchina a Toronto con il mio amico e fantastico bassista William “Bootsy” Collins. Era una notte come tante altre, o almeno così ci sembrava, quando all’improvviso un fulmine per tre volte consecutive colpì e illuminò a giorno la nostra macchina.
Ci guardammo e superato lo spavento capimmo che avevamo una missione da compiere. A tutti i costi! Doveva essere una notte del 1975, o qualcosa del genere”

George è convinto che sia stato un segno dal cielo e un anno dopo quella notte, realizza “Mothership Connection”, destinato a cambiare radicalmente la sua storia.

In questo disco ritroviamo due veterani del Padrino del Soul, scampati all’arroganza di James Brown: Maceo Parker e Fred Wesley ai fiati. In copertina c’è una navicella spaziale, mentre lui sbuca dal portellone in posizione ginecologica, pronto a vagare nello spazio, munito di stivali con tacco 20 e plateu, una tutina argentata e occhialanza avvolgente.
E allora navighiamo tra le stelle Clintoniane, tra navicelle che simboleggiano le navi negriere e robot schiavizzati dai bianchi.

African Glamour, bitches!!!


Personalmente amo i Funkadelic e i Parliaments prima che togliessero la esse. Le voci doo-wop, la psichedelia rockeggiante, il sound un po’ acidulo molto 70s , il groove, le jam ricche di trasporto, di orgia di suoni. Gli album “Funkadelic” (il primo) e “Maggot Brain” (il terzo) hanno i solchi, cacchio. Che godimento.
In Funkadelic c’è il brano “I’ll Bet You”, che verrà ripreso di lì a poco da un microscopico Micheal Jackson con i suoi 4 fratelli, i Jackson 5. Sopraggiungono anni dopo i Beastie Boys che ne usano un tocco campionato per “Car Thief”.

Nel 1970, sei mesi dopo l’uscita dell’album Funkadelic,  esce il secondo “Free Your Mind… And Your Ass Will Follow”, interamente scritto sotto effetti dell’acido. In pratica se non fai uso di stupefacenti non puoi entrare a far parte della cerchia. Clinton accoglie pure i fratelli Collins, trattati alla c … di cane dal vecchio datore di lavoro James Brown.
Questo disco lussurioso sembra nascere dallo spermatozoo di James Brown e dalla cellula uovo di Jimi Hendrix.
Nel ’71 esce Maggot Brain, la cui traccia “Super Stupid” costruirà i binari sui quali, decenni dopo, viaggerà il treno di Lenny Kravitz.


Le parole giuste per descrivere questo disco non esistono. È semplicemente avanti anni luce (a proposito di Universi, navicelle e tute glitterate). Il chitarrista Hazel é senza freni e da livero sfogo alla sua vena creativa.
Vari dischi dopo, nel 1975, esce “Let’s Take It To The Stage“. Durante le jam in fase di registrazione,  un tossicodipendente chiede a Clinton di poter suonare qualcosina in cambio di 50 dollari. Fatto sta, che questo strafatto, imbraccia la chitarra e comincia a fare dei miracoli con le 6 corde. Si sa, gli acidi ti fanno andare a briglia sciolta. Nel 2009, durante un’intervista, Paul Warren dichiara di essere stato lui a suonare davanti a Clinton. Dopo un po’ è diventato un sessionman che ha collaborato con Temptations, Rod Stewart, Tina Turner, Richard Marx, Joe Cocker e pure con (rullo di tamburi)… Eros Ramazzotti.
I Funkadelic sono molto prolifici, pubblicano album con cadenze ravvicinate. Negli anni ’80 iniziano scazzi contrattuali, si mandano a spigolare e si dividono, poi ogni tanto ritornano, ma più per esigenze lavorative che per spirito creativo. Nessun nuovo guizzo originale, si avviano verso un’omologazione di suoni negli anni ’90. Il mio attaccamento alla loro musica arriva fino a meta anni ’70, dopodiché  perdo questo entusuasmo nell’ascoltare i successivi album. Il cut-off per me è “One Nation Under A Groove“, dove si iniziano a percepire dei suoni “anniottanteschi” e io tollero mal volentieri gli anni ’80.
Lunga vita a George Clinton, alla sua instancabile voglia di sperimentare, di svecchiare, suonare in giro per il mondo e fare musica.

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