DISCO MUSIC
Luci soffuse dai toni caldi sui divanetti. La strobosfera specchiata riflette incessantemente scintillii sul dancefloor. La condensa sulle finestre. L’odore del borotalco sparso sulla pista. Il sudore sulla pelle. Io ho una caterva di capelli afro, i cerchi dorati appesi ai lobi, la canotta bluette in lycra con scollo all’americana e pantaloni neri/argento in spandex, talmente a zampissima che non mi vedo i piedi. Il discjokey mette “I feel love” di Donna Summer. Chiudo gli occhi e mi faccio trascinare dai ritmi tribali mascherati dall’ elettronica.
Partiamo dalle basi: nei primi anni Settanta nascono i Girl Groups (tipo le Ronettes, le Crystals e le Shirelles) fortemente legati al Brill Building Pop: una sorta di catena di montaggio di canzoni pop pre-confezionate e prodotte (ad esempio, da Phil Spector) con enorme successo. I testi sono giocosi e non più tragici o contemplativi. L’obiettivo è ballare e divertirsi. Il Philly Soul condivide molte caratteristiche con il Chicago e il Detroit Soul, ma è più raffinato e commerciale; gli ottoni sono ancora presenti, ma gli archi la fanno da padrone.
Alcune canzoni del Philly Soul erano accompagnate da un ritmo di batteria pulsante e ripetitivo , che le rendeva le migliori riempipista negli esclusivi club gay di New York (e altrove, in misura minore). Uno tra i maggiori esponenti del genere è sicuramente Barry White che, con la sua voce calda e sensuale, accende gli ormoni e fa vibrare il basso ventre. Mio papà era un grande appassionato del BarryOne e mi raccontava che quando mettevano un suo brano in discoteca, si alzava la temperatura e i ragazzi più audaci, chiedevano alle donzelle di ballare. Un tempo, le storie d’amore, nascevano proprio tra un lento ed una canzone di Barry White.
Io non sono appassionata del genere, mi annoia e non lo vedo spontaneo, per cui ho deciso di accennare la sua nascita,per parlarvi della sua evoluzione in Disco Music.
E’ il 1974 e Gloria Gaynor canta la cover di “Never can say goodbye”. La Disco diventa un fenomeno planetario. Il video mi spezza: i ballerini, tanti cuoricini.

Con un ritmo dominante e accelerato in 4/4, linee di basso sincopate del Fender Jazz Bass, ritornelli da diva da cantare a squarciagola, melodie orecchiabili (spesso intensificate da archi travolgenti) e testi molto più superficiali del Soul, i produttori trovano una combinazione commerciale così perfetta di elementi R&B popolari, che la Disco uscirà dal suo ambiente isolato, dominato dagli Italo-latino-afro-americani, e conquisterà il mondo in un modo inimmaginabile.
Il tutto senza interruzioni tra un brano e l’ altro: nasce il mix! Il Disc Jokey remixa (riedita) canzoni esistenti, utilizzando i registratori a nastro; aggiunge dei break nelle percussioni e nuovi suoni.

Cerca di capire, in base al riempimento del dancefloor, cosa vuole il pubblico e improvvisa, passando da una canzone ad un’altra con un mixer e utilizzando un microfono per introdurre i brani e intrattenere il pubblico.
Altre apparecchiature si aggiungono alla configurazione di base del DJ, offrendo manipolazioni ‘in tempo reale’ del suono, come il riverbero, l’equalizzazione e l’eco. Tutto ciò è stato possibile grazie alla maneggevolezza dei dischi da 12″ (i cosiddetti “singoli”), che riempivano le valigette dei DJ e che avevano una migliore qualità del suono.

È musica puramente estatica, senza preoccupazioni. Anima i locali notturni del globo, come il famigerato club “Studio 54” di New York.

Uno degli eventi che permise l’ascesa del genere fu la fine della guerra del Vietnam nel 1975, che segnò inevitabilmente un momento di gioia, dopo le tante proteste del popolo che assisteva ai capricci di un governo guerrafondaio. C’era voglia di staccare la spina, di lasciarsi andare, di non pensare.
La discoteca nasce dalla necessità di radunarsi per ballare ascoltando dischi, una derivazione del “dance party” delle comunità nere. Per i bianchi, invece, in discoteca, ci andavano quelli che non potevano permettersi di ascoltare la musica dal vivo. Italoamericani, latinoamericani ed afroamericani erano i maggiori avventori delle discoteche.

Le origini umili di questi locali si perdono quando, per seguire la moda, i club privati (del jet-set o per omosessuali) si trasformarono in discoteche. A Manhattan si associa la discoteca al mondo dei giovani bene e dei giovani omosessuali.
Quella degli omosessuali è una comunità molto compatta, specialmente dopo i disordini seguiti alla storica retata della polizia allo Stonewall Inn. Era la notte del 27 giugno 1969 quando i poliziotti newyorkesi fecero irruzione nel locale noto per essere uno dei punti di ritrovo della comunità omosessuale di New York. Un controllo come tanti a quei tempi, che però susciterà la prima vera reazione degli uomini e delle donne presenti, e non solo.
Una data simbolo, un evento storico per quella che oggi è chiamata comunità Lgbtq e che, proprio a partire da quel giorno, rivendicherà i propri diritti ed il il proprio orgoglio. Perseguitati dall’opinione pubblica e dalle sette puritane, gli omosessuali formano delle piccole isole sociali dentro la Grande Mela. Nei club passano brani dello storico gruppo omo Village People (“Macho Man” , “YMCA” ,e “In The Navy”) e di Sylvester, la prima star delle discoteche di San Francisco (“Dance”, “You Make Me Feel”). La pista da ballo diventa terra di libertà.

Prima di allora, la Disco era stata un’attenta evoluzione del Funk (” Disco Roots “) in feste esclusive organizzate da produttori/DJ professionisti come Francis Grasso e David Mancuso, a partire dal 1972. Nel 1977 esce il film ” La febbre del sabato sera “, che segna un momento cruciale.
Ovviamente non mancano gli haters della Disco, considerata troppo Mainstream. Questa ondata di repulsione (simboleggiata dalla famigerata etichetta ” Disco Sucks “) contribuisce alla “scomparsa” del genere..che rinascerà, in parte, con l’arrivo della House music.
Da ricordare la Disco Demolition Night del 12 Luglio 1979: durante l’intervallo di un’importante partita di baseball a Chicago, viene fatta esplodere una cassa piena di album di musica Disco. Una promozione pubblicitaria del conduttore radiofonico Steve Dahl, degenerata in sommossa.
Dahl, in divisa militare e con un elmo, dopo aver fatto un giro di campo in Jeep con il collega Garry Meier e la modella Lorelei, fomentano la folla al grido di “Disco Sucks”. Quel genio di Dahl fa detonare la cassa e la folla invade il campo. Gente che strappa l’erba, che distruggono la gabbia di battuta, le basi. Insomma, si scatena un bel casino che terminerà solo dopo l’intervento della Polizia in tenuta antisommossa. Si dice che alla base di questo odio verso la Disco ci siano state ragioni razziste o omofobiche. Dahl smentirà.

Nile Rodgers, storico cchitarrista dei Chic, ha paragonato questo episodio ai roghi dei libri compiuti dai nazisti. Gloria Gaynor sostiene invece che dietro a questa volontà di distruggere la Disco Music ci sia un obiettivo economico: chi sostiene questo movimento è “qualcuno i cui profitti economici venivano danneggiati dalla popolarità della disco music”. Molto più pragmatico è il punto di vista del frontman della KC and the Sunshine Band, etichettando Dahl semplicemente come un idiota (testualmente).
Che poi, la disco, non è mai finita nel dimenticatoio: ancora oggi appena parte il Revival alle feste private e non, ci si scatena da paura! Gente che fa partire il femore, piuttosto che rimanere seduta ai lati della pista. Io non resisto al richiamo della Disco Music, il mio corpo risponde in autonomia al sound ed al ritmo. Impossibile stare fermi.
DONNA SUMMER
Donna Summer, pseudonimo di LaDonna Adrian Gaines, nasce a Boston. Come molti artisti, la sua carriera ha inizio tra le fila del coro di una chiesa. A 20 anni volerà nella Germania Ovest, dove viene scritturata per il musical “Hair”. Conosce il suo amico e Giorgio Moroder e nasce una collaborazione degna di nota, oltre che un’amicizia indissolubile.

Nel 1974 esce “Love to Love You Baby”: un “maxi-singolo” di 17 minuti, prototipo della nascente Disco Music e modello per la sua futura evoluzione, la Dance. Il brano ha un ritmo ipnotico, continuo. Il basso pompa come un mantra e dona un tocco di colore. La voce di Donna Summer è soave, sospirata, bisbigliata, sensualissima, umida ed eccitante.
Il Time Magazine sminuirà il brano definendolo troppo hard; si mettono persino a contare gli orgasmi che si sentono (22).
È intrappolata nell’immagine di donna mangiauomini: i giornalisti si aspettano di intervistare una donna provocante vestita in abiti succinti che si lecca le labbra, prima di rispondere ai loro quesiti ed invece, surprise surprise, non è così. Da quando il Time Magazine la descrive come pioniera del “sex rock”, la sua casa discografica la fa passare come una dea del sesso, con Bogart che, per sponsorizzare i brani prodotti, crea lo slogan “fate l’amore al suono di Donna Summer”.
“Durante le interviste alcuni mi fissano con aria stralunata immaginando che debba saltare loro addosso da un momento all’altro. È surreale. Ho inciso un disco, non ho venduto la mia anima”.
Una volta addirittura disse che tutto ‘sto casino non è esploso per Barry White: lui cantava sensualmente rivolgendosi alle donne, sospirando e gemendo. Però se una donna canta agli uomini è un PECCATO!!!
Comunque poco importa, è solo l’inizio della carriera della nostra beniamina. Aveva una voce spaziale,graffiata, poliedrica. Poteva cantare folk, rock, country, r&b, soul, gospel e tutto ciò che poteva capitarle tra le mani e tra le corde vocali. Nel 1977 esce “I Feel Love” e sembra di fare una piroetta nel futuro.
“Ecco qua, non serve guardare altrove. Questo è il brano che cambierà la storia della musica dance per i prossimi 15 anni” (Brian Eno)
Indubbiamente il mio pezzo preferito di questa queen assoluta. Moroder ci schiaffa dentro la disco, un goccio di techno e moog a manetta. Vende 10 milioni di copie, che dire.
Nel 1979 esce “Bad Girls” che darà il titolo al doppio album. Moroder si fa fotografare all’interno di una Jacuzzi, con in mano il settimanale Newsweek dal titolo “Disco takes over” (la disco prende il sopravvento) ed in copertina c’è la meravigliosa Donna Summer. Si decolla.
Pensare che quando la Summer, due anni prima compose “Bad Girls” con un gruppo di amici, presentò la demo allo studio Bogart, lui le disse che il brano essendo rock e non Disco, sarebbe stato meglio affidarlo a qualcun’altra tipo Cher. Lei rifiuta e custodisce gelosamente la demo, fino a quando verrà manipolato dalle mani sapienti di Giorgio Moroder. Il singolo raggiunge il primo posto della classifica Billboard, dove rimane per 5 settimane non consecutive e vende oltre due milioni di copie.
Questo LP è un godimento unico, una condensazione di capolavori. C’è pure “Hot Stuff”, che verrà scelto come colonna sonora di un film che mi ha sempre fatto schiattare dal ridere, “Full Monty”.
Donna Summer vincerà un Grammy nella categoria Rock come Best Vocal Performance femminile per “Hot Stuff”. È stata stata la prima artista (donna e afroamericana) a vincere un Grammy. Olè!
Dopo questi masterpiece, l’artista passa alla Geffen Records, e dalla collaborazione con Moroder a quella con Quincy Jones, che non seppe (o non volle) valorizzarla a sufficienza.
Negli anni successivi faticherà a rimanere a galla: le furono attribuite alcune parole di disprezzo verso la comunità gay (“L’Aids è il castigo divino per i peccati degli omosessuali”), episodio molto equivoco che contribuì a oscurarne la gloria. Lei negò sempre con forza di aver pronunciato quella frase e divenne un’attivista d’assalto della Gay Men’s Health Crisis.
Negli anni Novanta farà un po’ di duetti, ma non sbarcherà più il lunario come ai cari vecchi tempi. Morirà a 63 anni per un maledetto cancro ai polmoni. Noi la celebriamo ancora adesso, sbracciando forte sul dancefloor.
